-->

26 luglio 2024

Verità su Via Palestro. Milano deve esigerla!

Venerdì 12 luglio 2024. Sono passati quasi 31 anni. E questa è l’ultima notizia in ordine di tempo che restituisce la complessità nel comprendere i veri esecutori, i veri mandanti e il vero movente della strage di via Palestro: "Indagato ex poliziotto per depistaggio Originario della Calabria, era in servizio ad Alcamo negli 80-90 (ANSA) -". 

L'ex sovrintendente di polizia, Antonio Federico, che negli anni '80-'90 era in servizio al commissariato di Alcamo nel Trapanese, è indagato per depistaggio dalla Procura di Caltanissetta. Federico è accusato di non avere chiarito i dettagli in merito alla consegna di una fotografia che probabilmente ritraeva Rosa Belotti, ritenuta la "biondina" della strage di via Palestro avvenuta il 27 luglio 1993 a Milano, trovata dall'ex poliziotto nello stesso anno dell' attentato terroristico compiuto da Cosa nostra, in una villetta di Alcamo, e nascosta in un libro. 

Secondo l'accusa, rappresentata dal pm Pasquale Pacifico, l'ex poliziotto avrebbe dichiarato alla Procura di Firenze, diversamente da quella di Caltanissetta, di conoscere la sua fonte confidenziale tale "Mark" e inoltre avrebbe avuto una antica conoscenza con Rosa Belotti. L'avvocato alcamese Vito Galbo che difende Federico, oggi in pensione, afferma invece che "non ha mai conosciuto la Belotti" e che Federico "consegnò la fotografia al suo dirigente che la tenne per tre anni e poi invece di distruggerla se la prese". 

La notizia mi viene segnalata da Aaron Pettinari di Antimafiaduemila. E riprende una vicenda che ha dell’assurdo. Ma per quella stagione oramai è del tutto normale.

Una donna bella, bionda, magra, probabilmente sotto i trent’anni, parcheggia la Fiat Uno in via Palestro e poi si dilegua su un’altra autovettura con due uomini a bordo. L’identikit è lo stesso fornito da altri testimoni sull’attentato di via Fauro a Roma. A Milano sono in due ad averla vista parcheggiare l’auto verso le 22:30. Di quella bionda però non c’è traccia in nessuna sentenza, e mai è stata identificata. Il suo identikit non rientra tra le piste investigative.

Katia Cucchi, collega del vigile urbano Ferrari, ricorda un ragazzo moro e una ragazza bionda, abbracciati, che non appena vedono gli agenti di Polizia Locale, indicarono loro il punto in cui la Uno stava fumando.

Probabilmente le stesse due persone (“... una donna bionda e un giovane con i capelli scuri”) che due testimoni videro poco prima dell'esplosione uscire da una Fiat, posizionata proprio nello stesso punto in cui si trovò la Uno che fumava. Così dissero i due testimoni che passarono nuovamente, circa mezz’ora dopo, davanti al PAC. Pochi minuti prima dell’esplosione.

Della bionda, come scrisse Cesare Giuzzi sul Corriere, ne parla invece, nel ‘94, il pentito di ‘ndrangheta Pietro Gioffré, ucciso un anno dopo in un agguato. Al Tg2 aveva parlato di una tale «Rosalba» affiliata alle cosche calabresi ed esperta d’esplosivi come la donna di via Palestro. Testimonianza mai utilizzata.

Rosa Belotti, quella della foto, due anni fa comparve su tutti i giornali, nego strenuamente il suo coinvolgimento. Dopo due anni la prima notizia che la riguarda è quella di due settimane fa.

Anche un testimone di via Palestro conferma: la persona nella foto è la stessa che ha parcheggiato la macchina che poi esplose. La Belotti è di Albano Sant'Alessandro in provincia di Bergamo. Suo marito, Rocco Di Lorenzo, 65 anni, oggi è in carcere con una condanna in appello a 11 anni per estorsione ed è considerato dagli investigatori vicino al clan camorristico «La Torre» di Mondragone.

La foto che ritrae la Belotti (lei stessa si è riconosciuta) viene trovata nel 1993, dentro un'enciclopedia in un covo riconducibile a Gladio, nella disponibilità di due carabinieri. Ad Alcamo. In Sicilia. 

La somiglianza della donna ritratta nella foto con quella dell’identikit diffuso dopo la strage viene evidenziata dallo stesso agente di Polizia, Antonio Federico, che l'ha trovata nel covo e che la consegna alla Dia il 5 febbraio del 2008. Quindici anni dopo, scrive Marco Lillo su Il Fatto, a detta di Federico, non era stata ritenuta utile dal punto di vista investigativo, ma lui l’aveva custodita fino ad allora. Ora le nuove verità su quella foto e l’accusa di depistaggio.

Gaspare Spatuzza non parlò mai della presenza di una donna nel luogo dell’attentato.


Gli altri elementi che non sono per nulla chiari di quello che accadde in via Palestro:


  1. La Falange Armata e Cosa Nostra rivendicarono con due comunicati diversi, la strage di Milano e gli attentati alle chiese di san Giovanni al Laterano e San Giorgio al Velabro a Roma. Due rivendicazioni simili. I falangisti scrissero che “ogni pazienza e prudenza non ha più motivo di essere, per cui molta gente inerme e innocente sarà costretta purtroppo a piangere e a morire per colpe non sue”. Le lettere che invece, Gaspare Spatuzza fa spedire ai mafiosi che operano a Roma e a Milano, avvisano che “Tutto quello che è accaduto è soltanto il prologo. Dopo queste ultime bombe informiamo la nazione che le prossime a venire verranno collocate di giorno in luoghi pubblici e saranno alla ricerca di vite umane garantiamo che saranno centinaia”. Impossibile, come sottolinea Giovanni Spinosa, ex Magistrato profondo conoscitore della Falange Armata, che i mafiosi sapessero del Comunicato dei falangisti e viceversa. Le date di invio delle lettere e di arrivo lo provano.
  2. I dubbi che Spatuzza non chiarisce, nascono anche su chi, in via Palestro imbottì di pentrite e T4 la Fiat Uno che esplose a Milano alle 23,14 del 27 luglio 1993 e su chi predispose le micce. Come viene ben descritto nel libro Attacco alla Stato di Ferruccio Pinotti e Roberto Valtolina i periti escludono decisamente l'utilizzo di un radiocomando a distanza: “La fonte più probabile del fumo presente all'interno dell'abitacolo fu l'accensione di tre micce a lenta combustione, che dimostra competenza da parte degli esecutori». Gaspare Spatuzza aveva parlato di una sola miccia che Lo Nigro avrebbe predisposto per poi essere innescata dal mafioso di Brancaccio Vittorio Tutino. Un battesimo del fuoco. Non aveva mai fatto nulla del genere. Bizzaro che Cosa Nostra lo metta proprio alla prova in un contesto così complicato.
  3. “Gli inneschi” sostengono i periti “li avrebbero messi gli attentatori all'ultimo momento. Quest'ultima operazione infatti poteva essere effettuata in pochi minuti solo dopo aver parcheggiato l'autovettura Fiat in via Palestro. A questo punto è stato sufficiente accendere le tre micce e allontanarsi a piedi lungo via Palestro. Con l'ausilio di 10 o 12 metri di miccia il tempo per allontanarsi era abbastanza elevato." Che fine hanno fatto la bionda e il suo accompagnatore?

Infine ricordiamo che nello scoppio restano uccisi:

Alessandro Ferrari, vigile urbano, 29 anni, che suonava l' organo in chiesa, aveva insegnato religione ed era sposato con Giovanna, loro figlio si chiama Matteo. 

Carlo La Catena, 25 anni, vigile del fuoco, era arrivato da Napoli un mese prima e aveva sempre sognato di fare il pompiere. 

Stefano Picerno, 36 anni, che si era sposato con Agnese il 3 luglio ed era appena tornato dal viaggio di nozze; 

Sergio Pasotto, 34 anni, quella sera lavorava anche se era il suo compleanno. 

Driss Moussafir venditore ambulante di 45 anni di nazionalità marocchina. Da alcuni anni era in italia. Quella calda sera di luglio, aveva deciso di coricarsi lì. Su una panchina, nei giardini pubblici, di fronte al Padiglione d'Arte Contemporanea.


Dodici persone rimangono ferite, alcuni di essi subiscono gravi danni permanenti. Un’ulteriore esplosione si verifica alle 4 e 30 del mattino a causa di una sacca di gas che si era formata sotto il Pac. Questa seconda esplosione avrà effetti più dirompenti sulla struttura, la sventra completamente e danneggia una trentina di opere d’arte, alcune andranno completamente distrutte.

29 giugno 2024

Omicidio Mormile emerge il vero movente. Ora bisogna riscrivere anche un intero pezzo di storia di questa nazione

Un altro passaggio fondamentale per restituire verità e giustizia a Umberto Mormile e ai suoi familiari. A sua figlia Daniela, ad Armida Miserere, la sua compagna suicida nel 2003, a Stefano e Nunzia, i suoi fratelli.

Sono state pubblicate le motivazioni della sentenza scritte dal GUP, Marta Pollicino, che condanna due collaboratori, rei confessi ,per aver concorso nell'omicidio dell'educatore del carcere di Opera l'11 aprile del 1990 a Carpiano. Ora bisogna riscrivere anche un intero pezzo di storia di questa nazione. Di questa città. E' venuto il tempo anche di ricordare Umberto nel carcere di Opera. Ora bisogna proseguire nell'individuare i mandanti all'interno dei servizi segreti italiani. 

Da questa verità emergerà nitidamente quanto realmente accaduto negli anni successivi. Fino al fallito o interrotto attentato allo Stadio Olimpico e alle minacce a Totò Riina. Ultima puntata che vede protagonista la Falange armata.  

L'articolo di Davide Milosa:

La mattina dell'11 aprile 1990 Umberto Mormile, 37 anni, educatore nel carcere di massima sicurezza  di Opera, è in auto. Sta andando al lavoro. Ma c'è traffico sulla Melegnano- Binasco. All'improvviso viene affiancato da una moto Honda 600. A bordo due uomini della ‘ndrangheta: alla guida Antonino Cuzzola. dietro Antonio Schettini che con una pistola a tamburo esplode sei colpi. Mormile muore all'istante. Poro dopo una voce anonima chiama l'Ansa di Bologna: in relazione a quanto è successo oggi a Milano al carcere, vi dico che il terrorismo non è morto". Il 27 ottobre l'azione è rivendicata da una sedicente sigla: Falange Armata". Poco do po l'omicidio Mormile, iniziatimi uno dei più grandi depistaggi della storia italiana ordito dai vertici della 'ndrangheta lombarda e avallato dai Servizi segreti dello Stato. Eppure ci sono voluti 34 anni per poter leggere questa verità in una sentenza, in parte già emersa nel processo reggino 'ndrangheta stragista. Si tratta qua invece delle motivazioni con cui il 15 marzo il giudice di Milano in primo grado ha condannato a 7 anni per concorso nell'omicidio due ex boss del Consorzio mafioso lombardo oggi collaboratori, Salvatore Pace e Vittorio Foschini. E in queste 170 pagine che per la prima volta, un giudice scrive che per le “reali ragioni sottese all'omicidio Momile è 'certamente ipotizzabile (...) un oscuro scenario di rapporti tra esponenti massimi della ildrangheta ed elementi deviati dei servizi segreti. Plurime risultanze probatorie militano intorno a tale ricostruzione”. Alla base di questo inedito quadro ci sono i verbali di Cuzzola e di Foschini. 

Fino a pochi mesi prima dell’omicidio a Opera si trova il suoerboss Domenico Papalia trasferito dal carcere di Parma. In Emilia il capo cosca ha usufruito di decine di permessi. Qui però la musica cambia. Dopo averne ottenuto uno, viene pizzicato in compagnia di un uomo della ’ndrangheta. Da qui in poi relazioni negative. Papalia si fa trasferire a Treviso. E poi c’è quella frase che Mormile, secondo i pentiti, rivolge ad Antonio Papalia rivolge ad Antonio Papalia che, su suggerimento del fratello Domenico, tenta di corromperlo con 20 milioni: “Io non sono mica dei Servizi”. Ma, spiega il pentito Foschini, “Mormile non era corrotto, è morto perché non si è voluto corrompere”. E però, secondo l’ultima ricostruzione, il sospetto che conoscesse i rapporti riservati tra i Papalia e i Servizi segreti, gli è stato fatale. 

Questo spiegano Foschini e Cuzzola. Il primo racconta quello che apprese da Antonio Papalia, fratello del superboss ( i due sono condannati come mandanti): "Domenico Papalia informava del problema i Servizi segreti, i quali, a loro volta, informavano Antonio Papalia, dando indicazioni su come procedere: tentare di corrompere Mormile e, se avesse rifiutato, provvedere alla sua eliminazione, rivendicando poi l'omicidio con la sigla Falange Armata". Il giudice: "Foschini spiega come Antonio Papalia comunicava ai suoi, che l'omicidio, su indicazione dei 'due uomini dei Servizi' con i quali lo stesso si era nuovamente incontrato, sarebbe dovuto ossere rivendicato sotto la sigla Falange Armata" con la finalità di allontanare i sospetti dalla matrice ‘ndranghetista. e ricondurli a quella terroristica. Del resto, spiega Foschini, “il fatto che .Mormile fosse venuto a conoscenza dei rapporti che Papalia aveva con i Servizi, costituiva un problema non solo per i Papalia, ma anche per i Servizi Segreti e per la famiglia Barbaro. Anche questi avevano rapporti ed erano stati coinvolti nell'accordo, per cui da un lato i Barbaro, i Papalia e D'Agostino, si sarebbero impegnati a non fare più sequestri, e in cambio i Servizi li avrebbero agevolati”. Non pare un caso che pochi giorni prima dell'omicidio a Milano salga un esponente di vertice della cosca Barbaro. Decisivo un altro passaggio di Foschini: 'I servizi segreti la famiglia Papalia non l'hanno mai mollata, ce l'hanno nella scacchiera". Per Cuzzola, poi, “i Piromalli avevano acquisito prova documentale dei rapporti di Papalia con i Servizi". A illuminare, quel 1990 Opera ci sono tre verbali inediti dai quali emerge come all'epoca nel carcere un uomo dell'allora Sisde, il servizio segreto civile, entrasse periodicamente "senza registrarsi' e tenesse colloqui riservati con il direttore e il comandante della Polizia penitenziaria. L'ex 007 che non è indagato, viene sentito nel 2020: "Dal 1982 al 1996 sono stato alle dipendenze della Presidenza del Consiglio. Poi distaccato al Sisde di Milano. Mi occupavo di assumere informazioni in ambienti carcerari sui detenuti per terrorismo e criminalità organizzata.. 

All’epoca il carcere, come riferito da un ex educatrice per averlo appreso da un poliziotto era “Un muro di gomma” A riprova il verbale dell’ex direttore del carcere: “Cercai di capire se il movente fosse legato all'ambiente carcerario (...). Non riuscii ad apprendere nulla. Proprio íl fatto che nessuna vocfe circolasse sull'omicidio mi stupì”. Ora, 34 anni dopo, forse comprendiamo quello strano silenzio di radio carcere. 


 

2 giugno 2024

Contro la separazione delle carriere in magistratura!

Rimango fermamente contrario alla separazione delle carriere.  Nella fantasia di chi la propone dovrebbe essere una Riforma Costituzionale che offre maggiori garanzie per avere un giudice terzo e imparziale. Sono convinti che ora i magistrati giudicanti, appartenendo allo stesso ordine dei magistrati requirenti (i pubblici ministeri o pm) siano fortemente influenzati e alla fine decidano danneggiando l'imputato. Un'idea di democrazia malsana. Incompiuta. Direi quasi corrotta. Sappiamo invece quanti pesi e contrappesi rendono particolarmente lungo e complesso, a garanzia della ricerca della verità, l'iter del procedimento penale. E il pm non ha il compito di sostenere l'accusa a qualsiasi costo. Ma di giungere alla verità e ha la possibilità anche di chiedere l'assoluzione dell'imputato. Se pensiamo che i Pm influenzino la magistratura giudicante cosa dovremmo dire dei magistrati di primo grado e d'appello? Quelli che dovrebbero confermare o riformare le sentenze in secondo grado di giudizio. Non si influenzeranno appartenendo allo stesso ordine? Non si capisce perché seguendo la stessa logica, a garanzia della terzietà, anche loro non debbano avere concorsi diverse e carriere separate.

In realtà la magistratura giudicante e anche quella requirente o inquirente dovrebbero essere più permeabili. Per esempio dovrebbe essere molto più semplice per un avvocato di esperienza, svolgere le funzioni di un magistrato. L'esperienza professionale come difensore, anche di parte civile, garantirebbe sì un maggior meticciato di culture, storie e sensibilità.

Inoltre, individuerei nella riforma della custodia cautelare un elemento di debolezza nelle garanzie che si devono assolutamente offrire all'indagato. Mi pare incomprensibile che le esigenze di custodia cautelare in carcere o ai domiciliari, possano essere accolte o meno a distanza anche di qualche mese dalla richiesta. Un conto è una convalida d'arresto. Un altro conto una richiesta che, per la sua complessità viene valutata a distanza di tempo. Magari anche quando è stata rigettata una prima volta e la segretezza dell'indagine è chiaramente venuta meno. Oppure quando la richiesta di misura cautelare, giunge al termine di una indagine in cui era già stato emesso un avviso di garanzia.

Puntare sulla separazione, in realtà, non raggiunge l'obiettivo per cui viene pensata e offre il fianco a chi desidera che i pubblici ministeri, all'americana, escano dalla definizione di potere autonomo e indipendente, rientrando sotto il controllo della politica. Chi desidera questo sta cercando anche di superare l'obbligatorietà dell'azione penale. Principio sacrosanto, da garantire con un adeguato supporto di uomini e mezzi, da sostituire, secondo i fautori della separazione delle carriere, con la possibilità di individuare quali reati perseguire per primi.  

Priorità anche in questo caso decise dalla politica, che rischia di essere un potere straripante, che influenzerà il servizio della giustizia, minando coì l'architrave delle civiltà più evolute: la separazione e l'autonomia dei tre poteri dello Stato: legislativo, esecutivo e giudiziario. 

19 maggio 2024

Claudio Martelli: nuova acrobazia su Falcone

Claudio Martelli riesce, intervistato da Francesco Verderami su Giovanni Falcone, a far titolare al Corriere della Sera: "Toghe colpevoli per la sua morte" (https://www.corriere.it/politica/24_maggio_19/claudio-martelli-giovanni-falcone-intervista2-45753f59-e51e-43a7-9f57-d56ab7fbaxlk.shtml?refresh_ce).

L'ardita acrobazia si poggia su una porzione di frase del discorso del 25 giugno 1992 di Paolo Borsellino (https://centrostudiborsellino.it/2021/06/25/il-25-giugno-1992-paolo-borsellino-tiene-il-suo-ultimo-discorso-pubblico/).

Proviamo a rileggere l'intero brano in cui è inserita la citazione utilizzata d'allora Ministro di Grazia e Giustizia del Governo Andreotti, che, come suo solito, fa fatica a fare un'autocritica, una sola, nel suo operato di quegli anni. 

E' il 25 giugno 1992, Paolo Borsellino, prima della metà del suo discorso cita una frase, tra l'altro, di un'altra toga, Antonino Caponnetto: "Giovanni Falcone cominciò a morire nel gennaio del 1988", quando il CSM gli preferisce Antonino Meli alla Procura di Palermo. Borsellino dice: "Io condivido questa affermazione di Caponnetto. Con questo non intendo dire che so il perché dell’evento criminoso avvenuto a fine maggio, per quanto io possa sapere qualche elemento che possa aiutare a ricostruirlo, e come ho detto ne riferirò all’autorità giudiziaria; non voglio dire che cominciò a morire nel gennaio del 1988 e che questo, questa strage del 1992, sia il naturale epilogo di questo processo di morte. Però quello che ha detto Antonino Caponnetto è vero, perché oggi che tutti ci rendiamo conto di quale è stata la statura di quest’uomo, ripercorrendo queste vicende della sua vita professionale, ci accorgiamo come in effetti il paese, lo Stato, la magistratura che forse ha più colpe di ogni altro, cominciò proprio a farlo morire il 1° gennaio del 1988, se non forse l’anno prima, in quella data che ha ora ricordato Leoluca Orlando: cioè quell’articolo di Leonardo Sciascia sul Corriere della Sera che bollava me come un professionista dell’antimafia, l’amico Orlando come professionista della politica, dell’antimafia nella politica". 

Se si parla dell'esperienza a Roma di Falcone, allora è bene citare anche il pensiero finale espresso da Borsellino quella sera: "Poi possono essere avanzate tutte le critiche, se avanzate in buona fede e se avanzate riconoscendo questo intento di Giovanni Falcone, si può anche dire che si prestò alla creazione di uno strumento che poteva mettere in pericolo l’indipendenza della magistratura, si può anche dire che per creare questo strumento egli si avvicinò troppo al potere politico, ma quello che non si può contestare è che Giovanni Falcone in questa sua breve, brevissima esperienza ministeriale lavorò soprattutto per potere al più presto tornare a fare il magistrato. Ed è questo che gli è stato impedito, perché è questo che faceva paura».

17 marzo 2024

Marco Ferdica: la Curva Nord come un'azienda... serve leadership per guidare così tante persone, ... chi ha fatto un percorso “dalla strada” è avvantaggiato»

Il giorno dopo l'audizione a porte chiuse in Commissione antimafia consiliare di Adriano Raffaelli, Presidente dell'organismo di vigilanza e garanzia Inter e Gianluca Cameruccio, Senior Security Manager per discutere delle notizie comparse sull'articolo di Davide Milosa Il sistema Curva Nord Milano: finte onlus. affari e criminalità del 17 gennaio 2024, leggiamo l'intervista sul Corriere della Sera al capo ultrà dell'Inter, Marco Ferdica, precedenti per droga «portavoce» dei 7.600 tifosi della Nord.

Intervista molto interessante.

Ferdica ci dice che la Curva Nord si autofinanzia con il merchandising, la fanzine venduta fuori dallo stadio, raccolte fondi. Gli avanzano pure, a tal punto che fanno iniziative con una associazione, “We are Milano” che collabora con don Mazzi. 

Ammette che rivendono i biglietti cosa penso illegale. Li rivendono «tramite noi». Noi chi? Non si capisce. C'è un piccolissimo ricarico da 10 euro. Probabilmente anche per le partite di Champions. Ma non viene spiegato. A me pare bagarinaggio.

Ci dice che lui non fa di lavoro il leader di Curva Nord. Lui si occupa di tutt'altro. Niente popò di meno che di servizi di lusso per turisti a Ibiza. Anche se, sconsolato, ci dice che la gestione della curva oggi è come quella di una azienda. Ma lui lo fa gratis. Ci garantisce però, che con il rimborso spese, non va sotto a fine mese. 

Lui e Andrea Beretta, presente nell'intervista, rivendicano l'amicizia con Antonio Bellocco, condannato per associazione mafiosa. E addirittura attaccano: «Questa vicenda è già stata strumentalizzata abbastanza» Da chi? Non si capisce. E garantiscono che la famiglia Bellocco non c'entra nulla con lo stadio. Garantiscono quindi che questa amicizia non permette a Ferdica di essere il capo della Nord, né a Bellocco di governare. Perché un Bellocco. Ricordiamolo. Non fa la comparsata in curva.

Ci garantisce che l'omicidio di Vittorio Boiocchi nonostante anticipi che non ne vuole parlare per il rispetto che nutre per la famiglia, non c'entra con lo stadio. Assolve il tifo organizzato. Un sospiro di sollievo. 

Ci garantisce infine che in curva non c’è spaccio di droga. E che la Curva non ha alcun rapporto con paninari e parcheggi. 

Ammette l'errore di aver cacciato le famiglie dalla curva per onorare Boiocchi. Confonde la vendetta con la difesa. Giustificando la violenza e le aggressioni: «... un conto è attaccare, uno è difendersi. ... Se si viene a Milano ad attaccare i tifosi, ovviamente c’è una reazione. È successo anche in Inter-Juve».

A me non ha convinto. Non so voi.

15 marzo 2024

Contrasto al riciclaggio e PA: è venuto il momento di multare!



La prima città che ha cominciato a inviare segnalazioni di operazioni sospette è stata Milano. 
Da marzo 2014 sono 387 le operazioni a rischio riciclaggio che la Unità di Informazione Finanziara (UIF) ha ricevuto dal capoluogo lombardo. L’aggiornamento è stato fornito durante la seduta della Commissione Antimafia del Consiglio Comunale a febbraio..

Sono 237 le persone segnalate e 278 le aziende. Le informazioni raccolte coinvolgono soprattutto intermediari immobiliari ma in numero maggiore bar, pizzerie e ristoranti e la movimentazione totale di capitale è pari a non meno di 1 miliardo e 941 milioni. 

In Lombardia vi è il maggior numero di pubbliche amministrazioni (PA) iscritte al portale Infostat UIF per poter inviare le comunicazioni (30), seguita dal Lazio e dall’Emilia Romagna. Ci sono alcune regioni in cui nessuna pubblica amministrazione risulta iscritta al portale Infostat UIF (es. Molise).

Solo il 17,5% delle segnalazioni proviene dagli enti territoriali, il 75,4% proviene dalle amministrazioni centrali dello Stato. Eppure per PA si intendono comuni, province, regioni. Ma anche le societa' partecipate dalle amministrazioni pubbliche e le loro controllate (ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile), gli istituti e scuole di ogni ordine e grado, le università, e soprattutto le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale, gli Istituti autonomi case popolari, le camere di commercio e l’Agenzia delle entrate.

Eppure è un obbligo. Checché se ne dica. E’ un obbligo inviare comunicazioni e dati alla Uif per le PA.

La platea è molto vasta e le potenzialità sono eccezionali e, nonostante nel 2023 le segnalazioni dalla PA siano raddoppiate rispetto al 2022 (da 179 a 414), rimangono pochissime. 

Basti pensare che durante tutto l’anno sono giunte 150 mila segnalazioni. Banche e poste hanno fatto la parte del leone con 83 mila segnalazioni. Dodicimila sono le segnalazioni giunte dagli operatori del gioco d’azzardo e 7 mila 700 dai notai. 

Il comma 6 dell’articolo 10 della normativa antiriciclaggio parla chiaro: l’inosservanza degli obblighi previsti dall’art. 10 del decreto legislativo 231/2007 , assume rilievo ai fini della responsabilità dirigenziale di cui all’art. 21, comma 1-bis, del d.lgs. n. 165/200111.

L’obbligo diventa tale quando la sanzione esiste. Il dirigente responsabile dell’inosservanza delle disposizioni di cui all’articolo 10 potrà subire una decurtazione fino all'ottanta per cento della retribuzione di risultato “in relazione alla gravità della violazione”.

L’obbligo è relativo alla programmazione di corsi di formazione, alla definizione di procedure interne, alla comunicazione di dati e informazioni concernenti le operazioni sospette di cui le PA vengano a conoscenza nell'esercizio della propria attività istituzionale. L’obbligo diventa tale anche quando la sanzione viene emessa. Ecco. Forse le sanzioni devono cominciare ad essere applicate!

29 febbraio 2024

Le liste degli impresentabili, le ovvietà (mai tali) e gli eccessi (dannosi)

Chiara Colosimo, presidente della Commissione parlamentare antimafia, annuncia l'intenzione di voler modificare il Codice di autoregolamentazione delle candidature. Le modifiche riguarderebbero "il quarto grado per i reati di mafia". 

Istituito nel 2014, voluto da Rosy Bindi, il codice si applica a tutti i tipi di elezione e “suggerisce” l'esclusione dalle liste di chi sulla base ad alcuni criteri il più possibile oggettivi (precedenti penali), viene definito, giornalisticamente, impresentabile. 

Non ha un valore legislativo rispetto ai criteri relativi alla incandidabilità e ineleggibilità  e i partiti aderiscono volontariamente. 

"Pongo una questione etica” ha sostenuto Colosimo, “che è diversa da quella morale (faccio fatica a capire differenza NDR). Non possiamo essere una sorta di Santa inquisizione, ma dobbiamo essere un argine insuperabile per i mafiosi". Proprio sulle liste di proscrizione ci si è scontrati in passato e duramente, tra partiti. E pare che Colisimo voglia sorprendentemente esagerare. "Il vincolo familistico" dice Colosimo, "è essenziale per la criminalità organizzata... Le responsabilità penali sono e restano personali. Ma se tuo fratello o chi per lui è un esponente della criminalità organizzata tu devi provare che non lavori per lui". 

La proposta non la si capisce nel dettaglio. Si intuisce che chi abbia parenti mafiosi non possa essere candidato (così è stata interpretata e criticata da Forza Italia) oppure debba superare delle prove specifiche per poterlo fare. Nel passato ho criticato chi, parente di persone condannate per mafia, non aveva dichiarato in sede di candidatura questo legame. Non aveva precedenti, ma era grave non avesse detto nulla a nessuno. Tanto grave quanto, chi sapendolo, non gli ha chiesto nulla da dichiarare pubblicamente agli elettori.

Sono convinto che un parente di mafioso, come fece Peppino Impastato, se si vuole candidare, lo possa fare e sono convinto sia un errore non candidarsi unicamente per la parentela. Senza neanche tirare in mezzo la responsabilità penale personale richiamata dalla Costituzione.

E’ fondamentale però che tutti sappiano la parentela tra candidato e mafioso, già in campagna elettorale. In piena trasparenza e assunzione di responsabilità. Proprio per questo legame sarà lui il paladino del contrasto agli interessi criminali mafiosi in quella lista!

Se ciò non accade allora, si, che è grave. Per questo i partiti dovrebbero prevedere nei propri codici etici, un giusto motivo per allontanare il candidato o l’eletto, rimuovendolo da qualsiasi incarico, se non ha dichiarato pubblicamente e preventivamente all’elezione o alla nomina di quel legame famigliare

1 febbraio 2024

Nove su dieci aziende inserite nella White List di Milano aspettano ancora una pronuncia della Prefettura

Emerge un problema enorme nella certificazione antimafia delle aziende milanesi: l’87,2 per cento delle richieste per ottenere la certificazione rimane invaso. Sul sito della Prefettura c’è l’accesso alla White List milanese: aziende certificate, libere da tentativi di infiltrazione mafiosa.

Sono 3191 le potenziali possibilità che la White List della Prefettura milanese mette a disposizione del mercato. Divise per 10 categorie diverse, nella lista si trovano aziende che si occupano di trasporto terra, trattamento e di smaltimento dei rifiuti, guardiania, nolo a caldo e nolo a freddo, scavi, catering e ristorazione, servizi cimiteriali. Molte aziende hanno chiesto di essere iscritte per più categorie.

Su 3191 però, 1055 sono posizioni in aggiornamento e 1727 sono posizioni ricoperte da aziende ancora in attesa di iscrizione. Aziende che aspettano ancora la prima certificazione antimafia. Con dei casi limite: la Coimec aspetta dal 2015 una risposta. La Ageco e la DSV aspettano dal 2016. E ben 14 dal 2017.

Quindi sul totale delle posizioni utilizzabili dal mercato privato e pubblico, ben 2782 posizioni risultano non ancora certificate o aggiornate. L’87,2 per cento.

In teoria, quindi, posizioni ricoperte da aziende che potrebbero aver perso o non aver diritto al titolo di azienda libera dalle infiltrazioni mafiose, ma che per la norma italiana e per le difficoltà evidenti della Prefettura rimangono ancora nella white list.

E' fondamentale dare risorse e personale per dare pieno utilizzo ad un'arma eccezionale, ma spuntata

Le interdittive in Italia aumentano, nonostante la riforma del 2022.

Tornano a salire le interdittive antimafia dopo la flessione registrata nel 2022: lo scorso anno sono stati infatti 2.007 contro i 1.495 dell’anno precedente, con un aumento del 34,2% (e del 30,2% rispetto al 2019).
Questi i dati nazionali forniti dal Ministero dell'Interno e rielaborati da Il Sole 24 Ore.

Cresciute del 32.5% le comunicazioni interdittive antimafia (frutto dei precedenti penali delle figure apicali) e del 36,3% le informazioni interdittivi (frutto di una valutazione discrezionale della Prefettura).

In vetta alla classifica delle regioni c'è la Campania. con 490 interdittive (279 comunicazione e 211 informazioni). Segue la Sicilia. con un totale di 390 interdittive (187 comunicazioni e 203 informazioni). cresciute dell'84%; rispetto al 2022. In Calabria il numero assoluto resta alto 265 ma in calo dei 2,9% rispetto al 273 del 2022. La provincia di Foggia traina l'incremento con 142 provvedimenti dei prefetti contro i 52 dell'anno prima.  Al Nord la regione con più interdittive è sempre l'Emilia-Romagna. sono state 215. Sono invece solo 70 i provvedimenti emanati in Lombardia. in calo del 16.7% rispetto agli 84 dell'anno precedente. Nella provincia di Milano sono stati 36 (erano 33). A Roma si sono decuplicati a 57. 

Nell’immaginare quali sarebbero stati i primi effetti della riforma del Codice antimafia (CAM)  alla luce dell’entrata in vigore nel 2021 (decreto legge in tema di “Disposizioni urgenti per  l’attuazione del Pnrr e per la prevenzione delle  infiltrazioni mafiose”) eravamo stati molto cauti*, per non dire scettici, su quella che sarebbe  potuta essere la reale efficacia della principale novità introdotta.  

La riforma, infatti, ha introdotto due importanti novità ** a tutela delle aziende potenzialmente  a rischio di essere colpite da una informazione interdittiva: quella relativa all’instaurazione  di un contraddittorio all’interno del procedimento e quella della cd. prevenzione collaborativa  prevista dall’art. 94 bis del Codice antimafia. Ed eravamo piuttosto convinti diminuisse le informative antimafia interdittive.

Ora invece i dati per gran parte delle regioni italiane riprendono a crescere. Indiscutibilmente un'ottima notizia. Per capire meglio la reale portata della riforma del 2021 ora dovremmo avere però dati almeno delle collaborazioni preventive. Ma non vengono forniti. Li recuperammo solamente per la Prefettura milanese: ben venticinque sono state le informazioni  interdittive con preavviso utilizzando il contraddittorio. Ma solo due non sono state adottate  al termine del contraddittorio. È stato emesso,  invece, un unico provvedimento di collaborazione preventiva.

Un peccato non vengano forniti i dati. Potrebbero dare un quadro più completo. Soprattutto in quelle provincie in cui le interdittive sono diminuite. Si potrebbe capire se la riforma è stata recepita oppure è rimasta sulla carta.

*Alcuni brani sono tratti da un articolo a mia firma e a firma di Ilaria Ramoni pubblicato sul Report di Legambiente sulle Ecomafie

** In buona sostanza, ora, il Prefetto, se all’esito degli approfondimenti delle Forze di Polizia,  ritiene sussistenti i presupposti per l’adozione dell’informazione interdittiva antimafia e che  non vi siano ragioni di celerità del procedimento, dà comunicazione al soggetto interessato  indicando gli elementi sintomatici dei tentativi di infiltrazione mafiosa. Con tale  comunicazione è assegnato un termine non superiore ai venti giorni per presentare  osservazioni scritte difensive ed evitare l’adozione dell’interdittiva antimafia che, si sa, è  temuta anche perché blocca la possibilità di partecipare a gare pubbliche, vedersi  definitivamente aggiudicato l’appalto o proseguire l’appalto aggiudicato. La procedura del  contraddittorio si conclude entro sessanta giorni dalla data di ricezione della comunicazione. 

Con la riforma del Codice antimafia del 2021 viene introdotta, come detto, anche la  prevenzione collaborativa che si applica qualora il Prefetto accerti che i tentativi di  infiltrazione mafiosa siano riconducibili a situazioni di agevolazione occasionale.  Da questa ipotesi nasce un “serrato” scambio di richieste e di documentazione grazie al  quale la Prefettura monitorerà l’azienda per un periodo intercorrente da un minimo di sei  mesi ad un massimo di un anno. Durante questo periodo l’azienda può continuare a operare  quindi rimanere in cantiere, trasportare rifiuti, movimentare terra e così via.  Il Prefetto di Matera, Sante Capponi, scrive “Tale provvedimento si pone come alternativa  all’informazione antimafia interdittiva, ed è attivabile nei casi in cui l’influenza mafiosa abbia  un’intensità tale da farla reputare esclusivamente occasionale”. 

L'atto di "prevenzione collaborativa" comporta, tra le altre cose, per la società destinataria,  la sottoposizione, per un periodo massimo di dodici mesi, ad alcune misure specifiche di  revisione del Modello 231, di comunicazione di specifiche attività al gruppo interforze  antimafia, di specifiche prescrizioni e la possibilità che vengano nominati massimo tre  esperti iscritti nell'albo degli amministratori giudiziari, con il compito di svolgere attività di ausilio alla società, finalizzata all'attuazione delle misure di prevenzione collaborativa.  Durante tale periodo di “controllo e sostegno” la società è comunque iscritta nella White List  delle Prefettura come azienda libera da tentativi di infiltrazioni mafiose. 


21 gennaio 2024

Sesta Direttiva antiriciclaggio, registro dei titolari effettivi, trattativa tra Parlamento e Consiglio

Giornalisti, organizzazioni della società civile, istituti di istruzione superiore, potranno accedere al registro dei titolari effettivi nazionali, interconnessi a livello europeo. 

La decisione, ancora provvisoria, è stata raggiunta dai negoziatori del Parlamento europeo* con la presidenza belga del Consiglio europeo ed è finalizzata alla redazione della sesta direttiva antiriciclaggio proposta per la prima volta dalla Commissione nel luglio 2021 e discussa in due commissioni parlamentari.

Gli stati membri dovranno invece garantire un accesso immediato, non filtrato, diretto e gratuito alle informazioni sulla titolarità effettiva (le persone fisiche che possiedono o controllano le società private) per le autorità competenti, gli organi di vigilanza, le autorità fiscali, la neonata autorità antiriciclaggio europea,, la Procura europea, il Comitato europeo per la lotta antifrode Ufficio (OLAF), Europol ed Eurojust.

Se quest'ultima decisione, mai messa in dubbio, migliorerà la qualità delle indagini e delle segnalazioni di operazioni sospette a rischio riciclaggio, la prima, di cui ho dato notizia in apertura del post, sospesa nel novembre 2022 dalla Corte di Giustizia Europea**, darà finalmente garanzie che ci sia anche un controllo pubblico che permetta la realizzazione di inchieste su piccole, grandi e medie organizzazioni criminali, riciclaggio e conflitti di interesse.

L'accesso avrà validità triennale e sarà a pagamento. Manca invece l’accesso generalizzato e gratuito per le Pubbliche Amministrazioni e in sede di recepimento faremo battaglia. 

Ricordo, che in Italia manca ancora il Registro dei Titolari effettivi la cui pubblicazione è stato bloccata da una recente sentenza del Tar che entrerà nel merito a marzo 2024. L’Italia è ultima in Europa. Il Lussemburgo, per esempio, rese accessibile il registro nel settembre 2020.

Altre decisioni.

  • L'accesso al registro per giornalisti e organizzazioni sarà concesso entro 12 giorni lavorativi e avrà validità triennale. Gli Stati membri rinnoveranno automaticamente l’accesso, ma lo revocheranno o lo sospenderanno anche in caso di abuso. Le tariffe di accesso saranno ragionevoli, in modo da non compromettere l’effettivo accesso alle informazioni;
  • L'unità di informazione finanziaria (UIF) avrà maggiori poteri per analizzare e individuare casi di riciclaggio di denaro e finanziamento del terrorismo, nonché per sospendere transazioni, conti o rapporti d'affari sospetti;
  • Le FIU e le altre autorità nazionali competenti avranno accesso alle informazioni sulla titolarità effettiva, sui conti bancari, sui registri catastali o immobiliari o su alcuni beni di valore elevato (trasferimento di proprietà con una soglia di 250.000 euro per le automobili e 7,5 milioni di euro per yacht e aerei);
  • Non verranno cambiati i criteri per identificare il titolare effettivo. Il Paramento chiedeva di ridurre dal 25 al 5% la quota posseduta direttamente o indirettamente o controllata per identificare il titolare effettivo, ma non è stata accolta né oggetto di trattativa..

* Rappresentanti commissioni Affari economici e monetari (ECON) e Libertà civili, giustizia e affari interni (LIBE).

** Il legislatore dell'Unione aveva sancito che i diritti di riservatezza, tranne eccezioni, erano meno importanti da salvaguardare, mira a prevenire il riciclaggio e finanziamento del terrorismo e che l'accesso del pubblico alle informazioni sulla titolarità effettiva è appropriato per contribuire al raggiungimento di tale obiettivo
La Corte ha ritenuto, tuttavia, che l'ingerenza comportata da tale misura non sia limitata a ciò che è strettamente necessario, né proporzionata all'obiettivo perseguito. Il regime introdotto dalla Quinta direttiva lede, secondo la Corte, i diritti fondamentali garantiti dagli articoli 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea: rispetto della vita privata e della vita familiare e protezione dei dati di carattere personale.