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20 ottobre 2024

Hakan Çalhanoğlu, Marco Ferdico, le magliette, l'inchino, e i bambini malati ricoverati in ospedale

Secondo quanto riportato da diversi organi di stampa Hakan Çalhanoğlu, convocato come persona informata sui fatti dalla Procura per l'indagine sugli affari illeciti degli ultra di Milan e Inter, avrebbe ammesso di avere avuto contatti "a titolo personale" con Marco Ferdico, ex portavoce della Curva Nord, arrestato. 
Çalhanoğlu avrebbe incontrato anche altri leader della curva, compreso Antonio Bellocco, nonostante la società gli avesse "detto di non avere contatti con gli ultras".
L'incontro pare avvenuto "per riconoscenza", a seguito a uno striscione esposto dalla Nord durante Sampdoria - Inter, in favore del calciatore: "Vicini a Siria e Turchia. Calha uno di noi" compariva allo stadio. Striscione collegato al terremoto del febbraio 2023. Tra l'altro, prima della partita di Genova, tutto lo stadio fece un minuto di silenzio
Çalhanoğlu ha confermato anche di aver donato alcune sue maglie alla Curva per iniziative di beneficenza "per i bambini ricoverati negli ospedali". 
Nell'ordinanza viene confermato questo fatto: "Ferdico avrebbe incontrato il calciatore turco ricevendo in dono magliette ufficiali consegnate poi ad Antonio Bellocco".
Un quadretto deprimente.
Il calciatore turco non incontra tutti i tifosi per ringraziarli, ma solo i capi. Perché? La riconoscenza poteva essere data molto dignitosamente in campo e attraverso dichiarazioni pubbliche a tutti i tifosi.
Così non sembra un ringraziamento, ma un inchino ai capi della Nord, dopo il faticoso passaggio diretto da Milan a Inter del giugno 2021.
E poi perché le magliette consegnate al portavoce della curva da donare ai bambini malati? Ma è poi vero? Ma che senso ha? Non è che le ha consegnate come segno ulteriore di asservimento ossequioso al "Capo"?
Se fosse la verità. Anche se non si capisce perché dovrebbe essere la curva e non direttamente il calciatore turco a consegnare le magliette ai bambini, che figuraccia penosa poi ha fatto Marco Ferdico? Ma chi è quell'uomo che toglie un dono ai bambini malati di tumore per ingraziarsi il suo potente "amichetto"?
Sarebbe interessante si chiedesse pubblicamente se qualche ospedale o bambino, abbia ricevuto in dono queste magliette dalla curva.
Çalhanoğlu non è indagato.
In essere c'è un'inchiesta per violazione dell’articolo 25 del Codice di Giustizia Sportiva e, in particolare, il comma 10, in base al quale “è fatto divieto di avere rapporti con esponenti di gruppi o gruppi di sostenitori che non facciano parte di associazioni convenzionate con le società”. 
Se fossi il Presidente dell'Inter multerei lui e Inzaghi, prima ancora che la giustizia sportiva faccia il suo corso.

22 agosto 2024

Un consiglio al nuovo proprietario del MOOD di via Solari

Il Mood di via Solari 2/a è in una posizione strategica. Un primo accesso ben visibile dalla trafficatissima Coni Zugna e dall’uscita del Cinema Orfeo e un secondo ingresso che dà sul parco Solari. Anzi, dentro il parco Solari. 
La proprietaria del Bar Mood, per sei anni, fino a gennaio 2021, era una signora coniugata con un condannato per traffico di stupefacenti, appartenente a una famiglia mafiosa ‘ndranghetista, coinvolta in diverse indagini per sequestro di persona e possesso illegale di armi. Uno dei fratelli della titolare era legato alla famiglia Strangio coinvolta nel sequestro Sgarella.
Prima del 2015 il Mood era stato gestito dalla figlia di un capo storico di un locale di ‘ndrangheta satellite delle famiglie Barbaro Papalia. 
Avevo consegnato le notizie che mi erano giunte al compianto Commissario Monticelli della Polizia Locale, dell’allora Servizio Informativo Operativo - Unità Analisi Investigative, che aveva redatto una relazione approfondita che andava ben oltre quanto gli avevo dichiarato. Era il febbraio 2017. Non accadde nulla. 
Tre anni fa, nel gennaio 2021 l’attività viene ceduta alla Rokito Caffè Srl di Rocco Zinghini nato a Platì e residente a Buccinasco. Suo socio era Giuseppe Francesco Zinghini, nato a Milano residente a Corsico. 
Quest’anno, invece, nel marzo la società Chocolat Srls con sede legale a Buccinasco, in Via della Resistenza 56, e socio unico, Luca Domenico Oliveri di Assago, acquisisce con un subingresso, la gestione dell’attività dalla Rokito. Il Mood ha un nuovo proprietario.
Ma ecco il colpo di scena: il 20 giugno scorso la Prefettura emette un’informativa antimafia interdittiva proprio nei confronti della Chocolat Srls. L’interdittiva, come specifica la Direzione Investigativa Antimafia, attesta la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi della società. Il Comune, tempestivamente comunica alla società la revoca dell’efficacia della SCIA. Il Bar dovrebbe chiudere immediatamente. 
Peccato che, il 19 giugno, un giorno prima che la Prefettura protocollasse l’informativa antimafia, la Chocolat Srls ha ceduto alla società REA SRLS, il locale per 64.000 euro. Il Mood può proseguire ad accogliere i clienti vecchi e nuovi. 
Ad Alessandro Bratto nuovo proprietario, socio unico della REA srls, visto quanto accaduto finora, suggerirei una cosa: chieda alla stessa Prefettura di poter accedere alla White List. La lista delle aziende libere da tentativi di infiltrazioni mafiosa. La categoria è la nona. Quella dedicata alle società che si occupano di ristorazione, gestione delle mense e catering. Una volta accolta la sua richiesta avrà la possibilità di mostrare a tutti la sua assoluta estraneità da ogni tipo di organizzazione mafiosa.

18 agosto 2024

Dia, l’ultima relazione parla di ‘matrici mafiose’: ormai si esce dalla logica territoriale

 Pubblicato su Il Fatto Online

L’attesa della pubblicazione della relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia (DIA), è per tutti noi studiosi, analisti, appassionati e addetti ai lavori quasi un rituale. La relazione rappresenta un’irrinunciabile fonte di informazioni, analisi e contenuti. La si attende e, poi, la si legge e studia con attenzione. La si contesta anche. Alcuni la vorrebbero redatta più celermente. Altri la desidererebbero più breve e schematica. Altri ancora auspicano che contenga una maggiore analisi dei cambiamenti dei fenomeni criminali nel tempo, letti anche da un punto di vista statistico. Tante le considerazioni che andrebbero fatte sull’ultima appena pubblicata, quella relativa al primo semestre del 2023.
1. Vogliamo partire da quella che per noi è una novità particolarmente significativa e che riguarda un passaggio evolutivo che ci sentiamo di definire di tipo culturale. Nell’ultima relazione si parla di “matrici mafiose” e non più di criminalità organizzata calabrese, pugliese, siciliana, stiddara o campana. Una piccola grande rivoluzione lessicale, che sottende un pensiero criminologico e sociologico differente rispetto a quello utilizzato negli anni scorsi.
Quando si entra nello specifico delle singole organizzazioni, infatti, non le si radica immediatamente nel territorio di origine. Nel capitolo delle matrici mafiose, successivo alle considerazioni generali, si parla di “Analisi del fenomeno criminale della 'ndrangheta, senza contestualizzarlo unicamente in Calabria. Lo si affronta organicamente così come si manifesta nell’intero territorio nazionale.
Prima di ora, utilizzando, secondo noi, un’accezione infelice e comunque oramai sorpassata dalla realtà dei fatti, c'era il tradizionale capitolo dedicato alla criminalità organizzata siciliana o campana. Non veniva citata Cosa Nostra o la Camorra nel titolo del paragrafo, ma la regione di tradizionale, e originario, radicamento dell’organizzazione criminale. 
Ora si esce dalla logica etnica. Si entra in una visione di insieme, deterritorializzata. Si segue l’evoluzione delle organizzazioni criminali. Si osserva e si studia il fenomeno mafioso come un’espressione di carattere nazionale. 
La ‘ndrangheta, la più radicata e gerarchica tra le organizzazioni criminali, viene riconosciuta come un network criminale capace di agire con grande disinvoltura nei contesti più diversificati, con un’accentuata vocazione verso i comparti economici, finanziari ed imprenditoriali. Capace di esprimere anche uno sviluppo transnazionale. Non esisterebbe la ‘ndrangheta calabrese, però, se non ci fosse la Lombardia (la struttura organica della ‘ndrangheta lombarda) con i suoi 24 locali. In questo senso assume un notevole significato evocativo il ritorno nella relazione della cartina dei locali di ‘ndrangheta in Piemonte, Liguria, Lombardia e Veneto.

2. Tra le matrici criminali si trova la seconda novità che vogliamo qui sottolineare: assurgono a matrice criminale e quindi a organizzazioni criminali riconosciute, quelle consorterie locali che oramai emulano il modus operandi delle associazioni mafiose tradizionali e con loro si relazionano. Viene citato il clan dei Casamonica, Spada e Di Silvio, a cui è dedicato un paragrafo di ben 10 pagine. Un paragrafo che sta sullo stesso piano del paragrafo destinato alla ‘ndrangheta, Camorra o Cosa Nostra.
Un’analisi approfondita che riporta alla memoria 16 inchieste, da Nuova alba, del luglio
2013, a Gramigna 1 e 2, fino all’inchiesta Reset del 2020.
La Corte di cassazione con sentenza n. 1785 del 2019 ha stabilito la nascita della nuova organizzazione mafiosa radicata nel territorio laziale con cui le tradizionali consorterie preferiscono interagire piuttosto che contrapporsi, seguendo “una logica di equilibrio e di spartizione degli interessi, alla ricerca di proficue relazioni di scambio e di collusione che consentono alle organizzazioni criminali più strutturate di infiltrarsi in modo silente, soprattutto nel tessuto economico-finanziario”.
Tra le matrici criminali si trova la seconda novità che vogliamo qui sottolineare: assurgono a matrice criminale e quindi a organizzazioni criminali riconosciute, quelle consorterie locali che oramai emulano il modus operandi delle associazioni mafiose tradizionali. 
Viene citato il clan Casamonica, Spada, Di Silvio, a cui è dedicato un paragrafo di ben 10 pagine. Un paragrafo che sta sullo stesso piano del paragrafo destinato alla ‘ndrangheta, Camorra o Cosa Nostra.
Un’analisi approfondita che riporta alla memoria 16 inchieste, da Nuova alba, del luglio 2013, a Gramigna 1 e 2, fino all’inchiesta Reset del 2020. Nella relazione viene definito un anno zero. consacrando la nascita di una nuova mafia, sancita dalla sentenza 1785 del 2019 della Corte Suprema di Cassazione.
I'mportante in tal senso la sentenza nr. 1785/2019 della Corte Suprema di Cassazione, con cui è stato sancito che il clan CASAMONICA-SPADA-DI SILVIO è un’associazione di tipo mafioso, con loro si relazionano. Vengono citati i Casamonica, gli Spada e i Di Silvio, a cui è dedicato un paragrafo di ben 10 pagine. Un paragrafo che sta sullo stesso piano del paragrafo destinato alla ‘ndrangheta, Camorra o Cosa Nostra. 
Un’analisi approfondita che riporta alla memoria 16 inchieste, da Nuova alba, del luglio 2013, a Gramigna 1 e 2, fino all’inchiesta Reset del 2020. Quest’ultima viene definita una sorta di “anno zero”, che consacra la nascita di una nuova mafia per come stabilito anche dalla Corte di cassazione con sentenza n. 1785 del 2019. Un’organizzazione criminale radicata nel territorio laziale con cui le tradizionali consorterie mafiose preferiscono interagire piuttosto che contrapporsi, “secondo una logica di equilibrio e di spartizione degli interessi, alla ricerca di proficue relazioni di scambio e di collusione che consentono alle organizzazioni criminali più strutturate di infiltrarsi in modo silente, soprattutto nel tessuto economico-finanziario”.
Sulla scia di questa nuova impostazione, che condividiamo, sulle mafie italiane, potrebbeessere utile passare anche allo “spacchettamento” del capitolo sulle mafie straniere.Inserendo altre due matrici: quella mafiosa Shqiptare-albanese e i Cult nigeriani. La prima, in grande ascesa alcuni anni fa, che ora consolida le sue relazioni soprattutto al Nord, in Lombardia e a Roma. La seconda, a cui la DIA dedicò un approfondimento nella relazione del secondo semestre 2018, e che ora sembra sottotraccia.
Se è vero che, come in tutti i campi, le analisi sociologiche e culturali anticipano interpretazioni giurisprudenziali o modifiche legislative, immaginiamo e auspichiamo che nel prossimo futuro qualcosa di interessante si muoverà anche nel campo del contrasto al fenomeno mafioso.





26 luglio 2024

Verità su Via Palestro. Milano deve esigerla!

Venerdì 12 luglio 2024. Sono passati quasi 31 anni. E questa è l’ultima notizia in ordine di tempo che restituisce la complessità nel comprendere i veri esecutori, i veri mandanti e il vero movente della strage di via Palestro: "Indagato ex poliziotto per depistaggio Originario della Calabria, era in servizio ad Alcamo negli 80-90 (ANSA) -". 

L'ex sovrintendente di polizia, Antonio Federico, che negli anni '80-'90 era in servizio al commissariato di Alcamo nel Trapanese, è indagato per depistaggio dalla Procura di Caltanissetta. Federico è accusato di non avere chiarito i dettagli in merito alla consegna di una fotografia che probabilmente ritraeva Rosa Belotti, ritenuta la "biondina" della strage di via Palestro avvenuta il 27 luglio 1993 a Milano, trovata dall'ex poliziotto nello stesso anno dell' attentato terroristico compiuto da Cosa nostra, in una villetta di Alcamo, e nascosta in un libro. 

Secondo l'accusa, rappresentata dal pm Pasquale Pacifico, l'ex poliziotto avrebbe dichiarato alla Procura di Firenze, diversamente da quella di Caltanissetta, di conoscere la sua fonte confidenziale tale "Mark" e inoltre avrebbe avuto una antica conoscenza con Rosa Belotti. L'avvocato alcamese Vito Galbo che difende Federico, oggi in pensione, afferma invece che "non ha mai conosciuto la Belotti" e che Federico "consegnò la fotografia al suo dirigente che la tenne per tre anni e poi invece di distruggerla se la prese". 

La notizia mi viene segnalata da Aaron Pettinari di Antimafiaduemila. E riprende una vicenda che ha dell’assurdo. Ma per quella stagione oramai è del tutto normale.

Una donna bella, bionda, magra, probabilmente sotto i trent’anni, parcheggia la Fiat Uno in via Palestro e poi si dilegua su un’altra autovettura con due uomini a bordo. L’identikit è lo stesso fornito da altri testimoni sull’attentato di via Fauro a Roma. A Milano sono in due ad averla vista parcheggiare l’auto verso le 22:30. Di quella bionda però non c’è traccia in nessuna sentenza, e mai è stata identificata. Il suo identikit non rientra tra le piste investigative.

Katia Cucchi, collega del vigile urbano Ferrari, ricorda un ragazzo moro e una ragazza bionda, abbracciati, che non appena vedono gli agenti di Polizia Locale, indicarono loro il punto in cui la Uno stava fumando.

Probabilmente le stesse due persone (“... una donna bionda e un giovane con i capelli scuri”) che due testimoni videro poco prima dell'esplosione uscire da una Fiat, posizionata proprio nello stesso punto in cui si trovò la Uno che fumava. Così dissero i due testimoni che passarono nuovamente, circa mezz’ora dopo, davanti al PAC. Pochi minuti prima dell’esplosione.

Della bionda, come scrisse Cesare Giuzzi sul Corriere, ne parla invece, nel ‘94, il pentito di ‘ndrangheta Pietro Gioffré, ucciso un anno dopo in un agguato. Al Tg2 aveva parlato di una tale «Rosalba» affiliata alle cosche calabresi ed esperta d’esplosivi come la donna di via Palestro. Testimonianza mai utilizzata.

Rosa Belotti, quella della foto, due anni fa comparve su tutti i giornali, nego strenuamente il suo coinvolgimento. Dopo due anni la prima notizia che la riguarda è quella di due settimane fa.

Anche un testimone di via Palestro conferma: la persona nella foto è la stessa che ha parcheggiato la macchina che poi esplose. La Belotti è di Albano Sant'Alessandro in provincia di Bergamo. Suo marito, Rocco Di Lorenzo, 65 anni, oggi è in carcere con una condanna in appello a 11 anni per estorsione ed è considerato dagli investigatori vicino al clan camorristico «La Torre» di Mondragone.

La foto che ritrae la Belotti (lei stessa si è riconosciuta) viene trovata nel 1993, dentro un'enciclopedia in un covo riconducibile a Gladio, nella disponibilità di due carabinieri. Ad Alcamo. In Sicilia. 

La somiglianza della donna ritratta nella foto con quella dell’identikit diffuso dopo la strage viene evidenziata dallo stesso agente di Polizia, Antonio Federico, che l'ha trovata nel covo e che la consegna alla Dia il 5 febbraio del 2008. Quindici anni dopo, scrive Marco Lillo su Il Fatto, a detta di Federico, non era stata ritenuta utile dal punto di vista investigativo, ma lui l’aveva custodita fino ad allora. Ora le nuove verità su quella foto e l’accusa di depistaggio.

Gaspare Spatuzza non parlò mai della presenza di una donna nel luogo dell’attentato.


Gli altri elementi che non sono per nulla chiari di quello che accadde in via Palestro:


  1. La Falange Armata e Cosa Nostra rivendicarono con due comunicati diversi, la strage di Milano e gli attentati alle chiese di san Giovanni al Laterano e San Giorgio al Velabro a Roma. Due rivendicazioni simili. I falangisti scrissero che “ogni pazienza e prudenza non ha più motivo di essere, per cui molta gente inerme e innocente sarà costretta purtroppo a piangere e a morire per colpe non sue”. Le lettere che invece, Gaspare Spatuzza fa spedire ai mafiosi che operano a Roma e a Milano, avvisano che “Tutto quello che è accaduto è soltanto il prologo. Dopo queste ultime bombe informiamo la nazione che le prossime a venire verranno collocate di giorno in luoghi pubblici e saranno alla ricerca di vite umane garantiamo che saranno centinaia”. Impossibile, come sottolinea Giovanni Spinosa, ex Magistrato profondo conoscitore della Falange Armata, che i mafiosi sapessero del Comunicato dei falangisti e viceversa. Le date di invio delle lettere e di arrivo lo provano.
  2. I dubbi che Spatuzza non chiarisce, nascono anche su chi, in via Palestro imbottì di pentrite e T4 la Fiat Uno che esplose a Milano alle 23,14 del 27 luglio 1993 e su chi predispose le micce. Come viene ben descritto nel libro Attacco alla Stato di Ferruccio Pinotti e Roberto Valtolina i periti escludono decisamente l'utilizzo di un radiocomando a distanza: “La fonte più probabile del fumo presente all'interno dell'abitacolo fu l'accensione di tre micce a lenta combustione, che dimostra competenza da parte degli esecutori». Gaspare Spatuzza aveva parlato di una sola miccia che Lo Nigro avrebbe predisposto per poi essere innescata dal mafioso di Brancaccio Vittorio Tutino. Un battesimo del fuoco. Non aveva mai fatto nulla del genere. Bizzaro che Cosa Nostra lo metta proprio alla prova in un contesto così complicato.
  3. “Gli inneschi” sostengono i periti “li avrebbero messi gli attentatori all'ultimo momento. Quest'ultima operazione infatti poteva essere effettuata in pochi minuti solo dopo aver parcheggiato l'autovettura Fiat in via Palestro. A questo punto è stato sufficiente accendere le tre micce e allontanarsi a piedi lungo via Palestro. Con l'ausilio di 10 o 12 metri di miccia il tempo per allontanarsi era abbastanza elevato." Che fine hanno fatto la bionda e il suo accompagnatore?

Infine ricordiamo che nello scoppio restano uccisi:

Alessandro Ferrari, vigile urbano, 29 anni, che suonava l' organo in chiesa, aveva insegnato religione ed era sposato con Giovanna, loro figlio si chiama Matteo. 

Carlo La Catena, 25 anni, vigile del fuoco, era arrivato da Napoli un mese prima e aveva sempre sognato di fare il pompiere. 

Stefano Picerno, 36 anni, che si era sposato con Agnese il 3 luglio ed era appena tornato dal viaggio di nozze; 

Sergio Pasotto, 34 anni, quella sera lavorava anche se era il suo compleanno. 

Driss Moussafir venditore ambulante di 45 anni di nazionalità marocchina. Da alcuni anni era in italia. Quella calda sera di luglio, aveva deciso di coricarsi lì. Su una panchina, nei giardini pubblici, di fronte al Padiglione d'Arte Contemporanea.


Dodici persone rimangono ferite, alcuni di essi subiscono gravi danni permanenti. Un’ulteriore esplosione si verifica alle 4 e 30 del mattino a causa di una sacca di gas che si era formata sotto il Pac. Questa seconda esplosione avrà effetti più dirompenti sulla struttura, la sventra completamente e danneggia una trentina di opere d’arte, alcune andranno completamente distrutte.

29 giugno 2024

Omicidio Mormile emerge il vero movente. Ora bisogna riscrivere anche un intero pezzo di storia di questa nazione

Un altro passaggio fondamentale per restituire verità e giustizia a Umberto Mormile e ai suoi familiari. A sua figlia Daniela, ad Armida Miserere, la sua compagna suicida nel 2003, a Stefano e Nunzia, i suoi fratelli.

Sono state pubblicate le motivazioni della sentenza scritte dal GUP, Marta Pollicino, che condanna due collaboratori, rei confessi ,per aver concorso nell'omicidio dell'educatore del carcere di Opera l'11 aprile del 1990 a Carpiano. Ora bisogna riscrivere anche un intero pezzo di storia di questa nazione. Di questa città. E' venuto il tempo anche di ricordare Umberto nel carcere di Opera. Ora bisogna proseguire nell'individuare i mandanti all'interno dei servizi segreti italiani. 

Da questa verità emergerà nitidamente quanto realmente accaduto negli anni successivi. Fino al fallito o interrotto attentato allo Stadio Olimpico e alle minacce a Totò Riina. Ultima puntata che vede protagonista la Falange armata.  

L'articolo di Davide Milosa:

La mattina dell'11 aprile 1990 Umberto Mormile, 37 anni, educatore nel carcere di massima sicurezza  di Opera, è in auto. Sta andando al lavoro. Ma c'è traffico sulla Melegnano- Binasco. All'improvviso viene affiancato da una moto Honda 600. A bordo due uomini della ‘ndrangheta: alla guida Antonino Cuzzola. dietro Antonio Schettini che con una pistola a tamburo esplode sei colpi. Mormile muore all'istante. Poro dopo una voce anonima chiama l'Ansa di Bologna: in relazione a quanto è successo oggi a Milano al carcere, vi dico che il terrorismo non è morto". Il 27 ottobre l'azione è rivendicata da una sedicente sigla: Falange Armata". Poco do po l'omicidio Mormile, iniziatimi uno dei più grandi depistaggi della storia italiana ordito dai vertici della 'ndrangheta lombarda e avallato dai Servizi segreti dello Stato. Eppure ci sono voluti 34 anni per poter leggere questa verità in una sentenza, in parte già emersa nel processo reggino 'ndrangheta stragista. Si tratta qua invece delle motivazioni con cui il 15 marzo il giudice di Milano in primo grado ha condannato a 7 anni per concorso nell'omicidio due ex boss del Consorzio mafioso lombardo oggi collaboratori, Salvatore Pace e Vittorio Foschini. E in queste 170 pagine che per la prima volta, un giudice scrive che per le “reali ragioni sottese all'omicidio Momile è 'certamente ipotizzabile (...) un oscuro scenario di rapporti tra esponenti massimi della ildrangheta ed elementi deviati dei servizi segreti. Plurime risultanze probatorie militano intorno a tale ricostruzione”. Alla base di questo inedito quadro ci sono i verbali di Cuzzola e di Foschini. 

Fino a pochi mesi prima dell’omicidio a Opera si trova il suoerboss Domenico Papalia trasferito dal carcere di Parma. In Emilia il capo cosca ha usufruito di decine di permessi. Qui però la musica cambia. Dopo averne ottenuto uno, viene pizzicato in compagnia di un uomo della ’ndrangheta. Da qui in poi relazioni negative. Papalia si fa trasferire a Treviso. E poi c’è quella frase che Mormile, secondo i pentiti, rivolge ad Antonio Papalia rivolge ad Antonio Papalia che, su suggerimento del fratello Domenico, tenta di corromperlo con 20 milioni: “Io non sono mica dei Servizi”. Ma, spiega il pentito Foschini, “Mormile non era corrotto, è morto perché non si è voluto corrompere”. E però, secondo l’ultima ricostruzione, il sospetto che conoscesse i rapporti riservati tra i Papalia e i Servizi segreti, gli è stato fatale. 

Questo spiegano Foschini e Cuzzola. Il primo racconta quello che apprese da Antonio Papalia, fratello del superboss ( i due sono condannati come mandanti): "Domenico Papalia informava del problema i Servizi segreti, i quali, a loro volta, informavano Antonio Papalia, dando indicazioni su come procedere: tentare di corrompere Mormile e, se avesse rifiutato, provvedere alla sua eliminazione, rivendicando poi l'omicidio con la sigla Falange Armata". Il giudice: "Foschini spiega come Antonio Papalia comunicava ai suoi, che l'omicidio, su indicazione dei 'due uomini dei Servizi' con i quali lo stesso si era nuovamente incontrato, sarebbe dovuto ossere rivendicato sotto la sigla Falange Armata" con la finalità di allontanare i sospetti dalla matrice ‘ndranghetista. e ricondurli a quella terroristica. Del resto, spiega Foschini, “il fatto che .Mormile fosse venuto a conoscenza dei rapporti che Papalia aveva con i Servizi, costituiva un problema non solo per i Papalia, ma anche per i Servizi Segreti e per la famiglia Barbaro. Anche questi avevano rapporti ed erano stati coinvolti nell'accordo, per cui da un lato i Barbaro, i Papalia e D'Agostino, si sarebbero impegnati a non fare più sequestri, e in cambio i Servizi li avrebbero agevolati”. Non pare un caso che pochi giorni prima dell'omicidio a Milano salga un esponente di vertice della cosca Barbaro. Decisivo un altro passaggio di Foschini: 'I servizi segreti la famiglia Papalia non l'hanno mai mollata, ce l'hanno nella scacchiera". Per Cuzzola, poi, “i Piromalli avevano acquisito prova documentale dei rapporti di Papalia con i Servizi". A illuminare, quel 1990 Opera ci sono tre verbali inediti dai quali emerge come all'epoca nel carcere un uomo dell'allora Sisde, il servizio segreto civile, entrasse periodicamente "senza registrarsi' e tenesse colloqui riservati con il direttore e il comandante della Polizia penitenziaria. L'ex 007 che non è indagato, viene sentito nel 2020: "Dal 1982 al 1996 sono stato alle dipendenze della Presidenza del Consiglio. Poi distaccato al Sisde di Milano. Mi occupavo di assumere informazioni in ambienti carcerari sui detenuti per terrorismo e criminalità organizzata.. 

All’epoca il carcere, come riferito da un ex educatrice per averlo appreso da un poliziotto era “Un muro di gomma” A riprova il verbale dell’ex direttore del carcere: “Cercai di capire se il movente fosse legato all'ambiente carcerario (...). Non riuscii ad apprendere nulla. Proprio íl fatto che nessuna vocfe circolasse sull'omicidio mi stupì”. Ora, 34 anni dopo, forse comprendiamo quello strano silenzio di radio carcere. 


 

2 giugno 2024

Contro la separazione delle carriere in magistratura!

Rimango fermamente contrario alla separazione delle carriere.  Nella fantasia di chi la propone dovrebbe essere una Riforma Costituzionale che offre maggiori garanzie per avere un giudice terzo e imparziale. Sono convinti che ora i magistrati giudicanti, appartenendo allo stesso ordine dei magistrati requirenti (i pubblici ministeri o pm) siano fortemente influenzati e alla fine decidano danneggiando l'imputato. Un'idea di democrazia malsana. Incompiuta. Direi quasi corrotta. Sappiamo invece quanti pesi e contrappesi rendono particolarmente lungo e complesso, a garanzia della ricerca della verità, l'iter del procedimento penale. E il pm non ha il compito di sostenere l'accusa a qualsiasi costo. Ma di giungere alla verità e ha la possibilità anche di chiedere l'assoluzione dell'imputato. Se pensiamo che i Pm influenzino la magistratura giudicante cosa dovremmo dire dei magistrati di primo grado e d'appello? Quelli che dovrebbero confermare o riformare le sentenze in secondo grado di giudizio. Non si influenzeranno appartenendo allo stesso ordine? Non si capisce perché seguendo la stessa logica, a garanzia della terzietà, anche loro non debbano avere concorsi diverse e carriere separate.

In realtà la magistratura giudicante e anche quella requirente o inquirente dovrebbero essere più permeabili. Per esempio dovrebbe essere molto più semplice per un avvocato di esperienza, svolgere le funzioni di un magistrato. L'esperienza professionale come difensore, anche di parte civile, garantirebbe sì un maggior meticciato di culture, storie e sensibilità.

Inoltre, individuerei nella riforma della custodia cautelare un elemento di debolezza nelle garanzie che si devono assolutamente offrire all'indagato. Mi pare incomprensibile che le esigenze di custodia cautelare in carcere o ai domiciliari, possano essere accolte o meno a distanza anche di qualche mese dalla richiesta. Un conto è una convalida d'arresto. Un altro conto una richiesta che, per la sua complessità viene valutata a distanza di tempo. Magari anche quando è stata rigettata una prima volta e la segretezza dell'indagine è chiaramente venuta meno. Oppure quando la richiesta di misura cautelare, giunge al termine di una indagine in cui era già stato emesso un avviso di garanzia.

Puntare sulla separazione, in realtà, non raggiunge l'obiettivo per cui viene pensata e offre il fianco a chi desidera che i pubblici ministeri, all'americana, escano dalla definizione di potere autonomo e indipendente, rientrando sotto il controllo della politica. Chi desidera questo sta cercando anche di superare l'obbligatorietà dell'azione penale. Principio sacrosanto, da garantire con un adeguato supporto di uomini e mezzi, da sostituire, secondo i fautori della separazione delle carriere, con la possibilità di individuare quali reati perseguire per primi.  

Priorità anche in questo caso decise dalla politica, che rischia di essere un potere straripante, che influenzerà il servizio della giustizia, minando coì l'architrave delle civiltà più evolute: la separazione e l'autonomia dei tre poteri dello Stato: legislativo, esecutivo e giudiziario. 

19 maggio 2024

Claudio Martelli: nuova acrobazia su Falcone

Claudio Martelli riesce, intervistato da Francesco Verderami su Giovanni Falcone, a far titolare al Corriere della Sera: "Toghe colpevoli per la sua morte" (https://www.corriere.it/politica/24_maggio_19/claudio-martelli-giovanni-falcone-intervista2-45753f59-e51e-43a7-9f57-d56ab7fbaxlk.shtml?refresh_ce).

L'ardita acrobazia si poggia su una porzione di frase del discorso del 25 giugno 1992 di Paolo Borsellino (https://centrostudiborsellino.it/2021/06/25/il-25-giugno-1992-paolo-borsellino-tiene-il-suo-ultimo-discorso-pubblico/).

Proviamo a rileggere l'intero brano in cui è inserita la citazione utilizzata d'allora Ministro di Grazia e Giustizia del Governo Andreotti, che, come suo solito, fa fatica a fare un'autocritica, una sola, nel suo operato di quegli anni. 

E' il 25 giugno 1992, Paolo Borsellino, prima della metà del suo discorso cita una frase, tra l'altro, di un'altra toga, Antonino Caponnetto: "Giovanni Falcone cominciò a morire nel gennaio del 1988", quando il CSM gli preferisce Antonino Meli alla Procura di Palermo. Borsellino dice: "Io condivido questa affermazione di Caponnetto. Con questo non intendo dire che so il perché dell’evento criminoso avvenuto a fine maggio, per quanto io possa sapere qualche elemento che possa aiutare a ricostruirlo, e come ho detto ne riferirò all’autorità giudiziaria; non voglio dire che cominciò a morire nel gennaio del 1988 e che questo, questa strage del 1992, sia il naturale epilogo di questo processo di morte. Però quello che ha detto Antonino Caponnetto è vero, perché oggi che tutti ci rendiamo conto di quale è stata la statura di quest’uomo, ripercorrendo queste vicende della sua vita professionale, ci accorgiamo come in effetti il paese, lo Stato, la magistratura che forse ha più colpe di ogni altro, cominciò proprio a farlo morire il 1° gennaio del 1988, se non forse l’anno prima, in quella data che ha ora ricordato Leoluca Orlando: cioè quell’articolo di Leonardo Sciascia sul Corriere della Sera che bollava me come un professionista dell’antimafia, l’amico Orlando come professionista della politica, dell’antimafia nella politica". 

Se si parla dell'esperienza a Roma di Falcone, allora è bene citare anche il pensiero finale espresso da Borsellino quella sera: "Poi possono essere avanzate tutte le critiche, se avanzate in buona fede e se avanzate riconoscendo questo intento di Giovanni Falcone, si può anche dire che si prestò alla creazione di uno strumento che poteva mettere in pericolo l’indipendenza della magistratura, si può anche dire che per creare questo strumento egli si avvicinò troppo al potere politico, ma quello che non si può contestare è che Giovanni Falcone in questa sua breve, brevissima esperienza ministeriale lavorò soprattutto per potere al più presto tornare a fare il magistrato. Ed è questo che gli è stato impedito, perché è questo che faceva paura».

17 marzo 2024

Marco Ferdico: la Curva Nord come un'azienda... serve leadership per guidare così tante persone, ... chi ha fatto un percorso “dalla strada” è avvantaggiato»

Il giorno dopo l'audizione a porte chiuse in Commissione antimafia consiliare di Adriano Raffaelli, Presidente dell'organismo di vigilanza e garanzia Inter e Gianluca Cameruccio, Senior Security Manager per discutere delle notizie comparse sull'articolo di Davide Milosa Il sistema Curva Nord Milano: finte onlus. affari e criminalità del 17 gennaio 2024, leggiamo l'intervista sul Corriere della Sera al capo ultrà dell'Inter, Marco Ferdico, precedenti per droga «portavoce» dei 7.600 tifosi della Nord.

Intervista molto interessante.

Ferdico ci dice che la Curva Nord si autofinanzia con il merchandising, la fanzine venduta fuori dallo stadio, raccolte fondi. Gli avanzano pure, a tal punto che fanno iniziative con una associazione, “We are Milano” che collabora con don Mazzi. 

Ammette che rivendono i biglietti cosa penso illegale. Li rivendono «tramite noi». Noi chi? Non si capisce. C'è un piccolissimo ricarico da 10 euro. Probabilmente anche per le partite di Champions. Ma non viene spiegato. A me pare bagarinaggio.

Ci dice che lui non fa di lavoro il leader di Curva Nord. Lui si occupa di tutt'altro. Niente popò di meno che di servizi di lusso per turisti a Ibiza. Anche se, sconsolato, ci dice che la gestione della curva oggi è come quella di una azienda. Ma lui lo fa gratis. Ci garantisce però, che con il rimborso spese, non va sotto a fine mese. 

Lui e Andrea Beretta, presente nell'intervista, rivendicano l'amicizia con Antonio Bellocco, condannato per associazione mafiosa. E addirittura attaccano: «Questa vicenda è già stata strumentalizzata abbastanza» Da chi? Non si capisce. E garantiscono che la famiglia Bellocco non c'entra nulla con lo stadio. Garantiscono quindi che questa amicizia non permette a Ferdico di essere il capo della Nord, né a Bellocco di governare. Perché un Bellocco. Ricordiamolo. Non fa la comparsata in curva.

Ci garantisce che l'omicidio di Vittorio Boiocchi nonostante anticipi che non ne vuole parlare per il rispetto che nutre per la famiglia, non c'entra con lo stadio. Assolve il tifo organizzato. Un sospiro di sollievo. 

Ci garantisce infine che in curva non c’è spaccio di droga. E che la Curva non ha alcun rapporto con paninari e parcheggi. 

Ammette l'errore di aver cacciato le famiglie dalla curva per onorare Boiocchi. Confonde la vendetta con la difesa. Giustificando la violenza e le aggressioni: «... un conto è attaccare, uno è difendersi. ... Se si viene a Milano ad attaccare i tifosi, ovviamente c’è una reazione. È successo anche in Inter-Juve».

A me non ha convinto. Non so voi.

15 marzo 2024

Contrasto al riciclaggio e PA: è venuto il momento di multare!



La prima città che ha cominciato a inviare segnalazioni di operazioni sospette è stata Milano. 
Da marzo 2014 sono 387 le operazioni a rischio riciclaggio che la Unità di Informazione Finanziara (UIF) ha ricevuto dal capoluogo lombardo. L’aggiornamento è stato fornito durante la seduta della Commissione Antimafia del Consiglio Comunale a febbraio..

Sono 237 le persone segnalate e 278 le aziende. Le informazioni raccolte coinvolgono soprattutto intermediari immobiliari ma in numero maggiore bar, pizzerie e ristoranti e la movimentazione totale di capitale è pari a non meno di 1 miliardo e 941 milioni. 

In Lombardia vi è il maggior numero di pubbliche amministrazioni (PA) iscritte al portale Infostat UIF per poter inviare le comunicazioni (30), seguita dal Lazio e dall’Emilia Romagna. Ci sono alcune regioni in cui nessuna pubblica amministrazione risulta iscritta al portale Infostat UIF (es. Molise).

Solo il 17,5% delle segnalazioni proviene dagli enti territoriali, il 75,4% proviene dalle amministrazioni centrali dello Stato. Eppure per PA si intendono comuni, province, regioni. Ma anche le societa' partecipate dalle amministrazioni pubbliche e le loro controllate (ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile), gli istituti e scuole di ogni ordine e grado, le università, e soprattutto le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale, gli Istituti autonomi case popolari, le camere di commercio e l’Agenzia delle entrate.

Eppure è un obbligo. Checché se ne dica. E’ un obbligo inviare comunicazioni e dati alla Uif per le PA.

La platea è molto vasta e le potenzialità sono eccezionali e, nonostante nel 2023 le segnalazioni dalla PA siano raddoppiate rispetto al 2022 (da 179 a 414), rimangono pochissime. 

Basti pensare che durante tutto l’anno sono giunte 150 mila segnalazioni. Banche e poste hanno fatto la parte del leone con 83 mila segnalazioni. Dodicimila sono le segnalazioni giunte dagli operatori del gioco d’azzardo e 7 mila 700 dai notai. 

Il comma 6 dell’articolo 10 della normativa antiriciclaggio parla chiaro: l’inosservanza degli obblighi previsti dall’art. 10 del decreto legislativo 231/2007 , assume rilievo ai fini della responsabilità dirigenziale di cui all’art. 21, comma 1-bis, del d.lgs. n. 165/200111.

L’obbligo diventa tale quando la sanzione esiste. Il dirigente responsabile dell’inosservanza delle disposizioni di cui all’articolo 10 potrà subire una decurtazione fino all'ottanta per cento della retribuzione di risultato “in relazione alla gravità della violazione”.

L’obbligo è relativo alla programmazione di corsi di formazione, alla definizione di procedure interne, alla comunicazione di dati e informazioni concernenti le operazioni sospette di cui le PA vengano a conoscenza nell'esercizio della propria attività istituzionale. L’obbligo diventa tale anche quando la sanzione viene emessa. Ecco. Forse le sanzioni devono cominciare ad essere applicate!

29 febbraio 2024

Le liste degli impresentabili, le ovvietà (mai tali) e gli eccessi (dannosi)

Chiara Colosimo, presidente della Commissione parlamentare antimafia, annuncia l'intenzione di voler modificare il Codice di autoregolamentazione delle candidature. Le modifiche riguarderebbero "il quarto grado per i reati di mafia". 

Istituito nel 2014, voluto da Rosy Bindi, il codice si applica a tutti i tipi di elezione e “suggerisce” l'esclusione dalle liste di chi sulla base ad alcuni criteri il più possibile oggettivi (precedenti penali), viene definito, giornalisticamente, impresentabile. 

Non ha un valore legislativo rispetto ai criteri relativi alla incandidabilità e ineleggibilità  e i partiti aderiscono volontariamente. 

"Pongo una questione etica” ha sostenuto Colosimo, “che è diversa da quella morale (faccio fatica a capire differenza NDR). Non possiamo essere una sorta di Santa inquisizione, ma dobbiamo essere un argine insuperabile per i mafiosi". Proprio sulle liste di proscrizione ci si è scontrati in passato e duramente, tra partiti. E pare che Colisimo voglia sorprendentemente esagerare. "Il vincolo familistico" dice Colosimo, "è essenziale per la criminalità organizzata... Le responsabilità penali sono e restano personali. Ma se tuo fratello o chi per lui è un esponente della criminalità organizzata tu devi provare che non lavori per lui". 

La proposta non la si capisce nel dettaglio. Si intuisce che chi abbia parenti mafiosi non possa essere candidato (così è stata interpretata e criticata da Forza Italia) oppure debba superare delle prove specifiche per poterlo fare. Nel passato ho criticato chi, parente di persone condannate per mafia, non aveva dichiarato in sede di candidatura questo legame. Non aveva precedenti, ma era grave non avesse detto nulla a nessuno. Tanto grave quanto, chi sapendolo, non gli ha chiesto nulla da dichiarare pubblicamente agli elettori.

Sono convinto che un parente di mafioso, come fece Peppino Impastato, se si vuole candidare, lo possa fare e sono convinto sia un errore non candidarsi unicamente per la parentela. Senza neanche tirare in mezzo la responsabilità penale personale richiamata dalla Costituzione.

E’ fondamentale però che tutti sappiano la parentela tra candidato e mafioso, già in campagna elettorale. In piena trasparenza e assunzione di responsabilità. Proprio per questo legame sarà lui il paladino del contrasto agli interessi criminali mafiosi in quella lista!

Se ciò non accade allora, si, che è grave. Per questo i partiti dovrebbero prevedere nei propri codici etici, un giusto motivo per allontanare il candidato o l’eletto, rimuovendolo da qualsiasi incarico, se non ha dichiarato pubblicamente e preventivamente all’elezione o alla nomina di quel legame famigliare