Articolo comparso nel DOSSIERCRIMINALITÀ AMBIENTALEIN LOMBARDIA 2023. LE STORIE E I NUMERI DELL’ILLEGALITÀ AMBIENTALE EDELLE ECOMAFIE IN LOMBARDIA LEGAMBIENTE
scritto da me e da Ilaria Ramoni
Anche il Consiglio di Stato è ormai fermamente convinto nel ritenere massimo l’interesse che da
anni muove le organizzazioni criminali di tipo mafioso nel settore ambientale e in particolare nel
settore della gestione dei rifiuti.
La commissione di reati afferenti, in particolare, all’attività
organizzata per il traffico illecito di rifiuti di cui all’art. 452 quaterdecies cp (ex art. 260, d. lgs. n. 152
del 2006) e inquinamento ambientale di cui all’art. 452 bis sono infatti considerati, nel contrasto alla
criminalità organizzata, reati spia del pericolo di infiltrazione mafiosa nell’impresa.
L’attenzione dell’ordinamento per tali fenomeni illeciti è, pertanto, elevata, in ragione del
disvalore sociale e del notevole danno, ambientale ma non solo, che l’infiltrazione di soggetti
portatori di interessi contrastanti con gli interessi dello Stato-comunità comporta.
Il danno
ambientale che deriva dalla raccolta, trattamento, smaltimento illecito di rifiuti, specialmente
se speciali o pericolosi, è definitivo e, nella quasi totalità delle ipotesi, irreparabile con la
conseguenza che sempre di più bisogna intervenire in una fase preventiva rispetto alla
causazione del danno. È infatti di tutta evidenza che, alla stregua di altri beni giuridici, il
bene ambiente non riceve una tutela adeguata se protetto esclusivamente mediante norme
penali volte a reprimere un illecito che si è già perfezionato e che ha già prodotto danni e
modifiche permanenti nella realtà naturale.
Appare evidente, pertanto, la stretta correlazione che intercorre tra la prevenzione del danno
ambientale e le misure preventive che l’Autorità giudiziaria o amministrativa è chiamata a
porre in essere in presenza del verificarsi di specifiche condizioni. Nel primo caso attraverso
le misure preventive ablative o semi ablative previste dal Codice antimafia (CAM) e, nel
secondo caso, in particolare attraverso le interdittive antimafia e le altre misure di natura
amministrativa previste sempre dal Codice antimafia.
Proprio per questo motivo riteniamo che, anche nell’ottica di una reale ed effettiva tutela dell’ambiente, essendo ciò normativamente previsto, non vada assolutamente sottovalutata la portata dirompente che possono e devono ancora avere le suddette misure preventive.
Il grafico riportato sopra e tratto dal sito del Ministero dell’Interno è piuttosto emblematico: le informazioni interdittive calano nel 2022 in maniera netta. I dati del primo semestre 2023 danno invece una chiave di lettura parzialmente diversa.
Nell’immaginare quali sarebbero stati i primi effetti della riforma del Codice antimafia (CAM) alla luce dell’entrata in vigore nel 2021 del decreto legge in tema di “Disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e per la prevenzione delle infiltrazioni mafiose” eravamo stati molto cauti, per non dire scettici, su quella che sarebbe potuta essere la reale efficacia della principale novità introdotta.
La riforma, infatti, ha introdotto due importanti novità a tutela delle aziende potenzialmente a rischio di essere colpite da una informazione interdittiva: quella relativa all’instaurazione di un contraddittorio all’interno del procedimento e quella della cd. prevenzione collaborativa prevista dall’art. 94 bis del Codice antimafia.
In verità i dubbi li avevamo espressi già nel 2021, ancor prima che la riforma fosse adottata dal Parlamento, analizzando i diversi progetti di riforma, paventando il rischio che venisse depotenziata quella che, a nostro dire, era da considerarsi un’arma letale. Un’arma che aveva così tanto inciso nell’allontanamento di aziende da Expo e da tante, grandi e piccole, opere pubbliche. Un’arma che si è cominciato ad usare anche per far decadere le autorizzazioni legate alle SCIA delle attività commerciali.
Ricordiamo che l’interdittiva antimafia ha lo scopo di prevenire le infiltrazioni mafiose nel mercato mediante l’interdizione delle imprese, che ne sono destinatarie, a contrarre con la PA o a ricevere erogazioni pubbliche. Il Codice antimafia, all’art. 84, prevede due diverse tipologie di documentazione antimafia, la comunicazione antimafia e l’informazione antimafia, tra loro alternative.
Prima di addentrarci su quelle che noi valutiamo essere le prime prassi applicative della riforma di cui sopra, e le prime valutazioni sulle ricadute operate dei nuovi istituti, occorre fare memoria della procedura per come è stata riformata.
In buona sostanza, ora, il Prefetto, se all’esito degli approfondimenti delle Forze di Polizia, ritiene sussistenti i presupposti per l’adozione dell’informazione interdittiva antimafia e che non vi siano ragioni di celerità del procedimento, dà comunicazione al soggetto interessato indicando gli elementi sintomatici dei tentativi di infiltrazione mafiosa. Con tale comunicazione è assegnato un termine non superiore ai venti giorni per presentare osservazioni scritte difensive ed evitare l’adozione dell’interdittiva antimafia che, si sa, è temuta anche perché blocca la possibilità di partecipare a gare pubbliche, vedersi definitivamente aggiudicato l’appalto o proseguire l’appalto aggiudicato. La procedura del contraddittorio si conclude entro sessanta giorni dalla data di ricezione della comunicazione.
Con la riforma del Codice antimafia del 2021 viene introdotta, come detto, anche la prevenzione collaborativa che si applica qualora il Prefetto accerti che i tentativi di infiltrazione mafiosa siano riconducibili a situazioni di agevolazione occasionale. Da questa ipotesi nasce un “serrato” scambio di richieste e di documentazione grazie al quale la Prefettura monitorerà l’azienda per un periodo intercorrente da un minimo di sei mesi ad un massimo di un anno. Durante questo periodo l’azienda può continuare a operare quindi rimanere in cantiere, trasportare rifiuti, movimentare terra e così via. Il Prefetto di Matera, Sante Capponi, scrive “Tale provvedimento si pone come alternativa all’informazione antimafia interdittiva, ed è attivabile nei casi in cui l’influenza mafiosa abbia un’intensità tale da farla reputare esclusivamente occasionale”.
L'atto di "prevenzione collaborativa" comporta, tra le altre cose, per la società destinataria, la sottoposizione, per un periodo massimo di dodici mesi, ad alcune misure specifiche di revisione del Modello 231, di comunicazione di specifiche attività al gruppo interforze antimafia, di specifiche prescrizioni e la possibilità che vengano nominati massimo tre esperti iscritti nell'albo degli amministratori giudiziari, con il compito di svolgere attività di ausilio alla società, finalizzata all'attuazione delle misure di prevenzione collaborativa. Durante tale periodo di “controllo e sostegno” la società è comunque iscritta nella White List delle Prefettura come azienda libera da tentativi di infiltrazioni mafiose. La riforma, dati alla mano, sembrerebbe aver ottenuto l’effetto di diminuire il numero di interdittive e aver permesso a molte aziende di dimostrare l’eventuale errore di valutazione della Prefettura, convincerla che i sospetti di infiltrazione mafiosa non fossero reali, oppure, una volta valutati che non lo fossero, ha permesso a molte aziende di adottare politiche di self cleaning governate da un amministratore giudiziario.
Per capire meglio la reale portata della riforma dovremmo avere dati scorporati per tipologia di provvedimento: comunicazioni interdittive senza preavviso, informazioni interdittive con preavviso, collaborazioni preventive ex art. 94 bis CAM e interdittive antimafia non adottate a seguito di contraddittorio post preavviso.
Sarebbe sicuramente auspicabile e molto utile, oltre che interessante, che i dati complessivi così strutturati venissero riportati e illustrati nella consueta relazione semestrale della DIA. I dati forniti dalla Prefettura di Milano ci vengono in aiuto in tal senso e, oltre ad essere assolutamente significativi, sono coerenti con i dati forniti anche da altre Prefetture. La Prefettura di Milano ha emesso, da novembre 2021, undici comunicazioni interdittive senza preavviso e quindi senza contraddittorio. Ben venticinque sono state le informazioni interdittive con preavviso utilizzando il contraddittorio. Ma solo due non sono state adottate al termine del contraddittorio post preavviso ex art. 10 bis l. 241 del 1990. È stato emesso unicamente un provvedimento di collaborazione preventiva ex art. 94 bis CAM e la procedura attualmente non è conclusa essendo ancora in corso.
A Milano quindi, combinando i dati forniti dalla Prefettura con quelli forniti direttamente dal Ministero dell’Interno, nel corso dei ventitré mesi in cui è stata applicata la norma per come riformata, sono state emesse trentaquattro comunicazioni interdittive. Nell’anno 2019 erano state trentacinque, nel 2020 solamente una, nel 2021 otto, nel 2022 sei e nel 2023, per il momento, due.
Nei primi giorni del mese di ottobre 2023, il Prefetto di Lecco, Sergio Pomponio, aveva annunciato di aver adottato sei interdittive antimafia nei confronti di altrettante attività commerciali e di aver emesso, per la prima volta, un provvedimento di prevenzione collaborativa ex art. 94 bis CAM, nei confronti di una società operante nel settore della formazione.
A Caserta il Prefetto Giuseppe Castaldo, a fine settembre 2023 ha dichiarato di aver emesso dal 2022 ad oggi settantadue provvedimenti interdittivi a cui si aggiungono “sette provvedimenti di prevenzione collaborativa che hanno interessato società operanti nell’ambito della coltivazione e importazione di ortaggi, dell’allevamento, della produzione di prodotti caseari e della costruzione di edifici”.
A Mantova, invece, al nell’agosto 2022 viene adottata la prima misura di collaborazione preventiva nei confronti di una società operante nel settore della ristorazione. Matera la sua prima misura di prevenzione collaborativa la emette il 22 giugno 2022. A Reggio Emilia il Prefetto Rita Cocciufa adotta il primo provvedimento di prevenzione collaborativa ai sensi dell'art. 94 bis del Codice antimafia a fine agosto 2023. A Messina la prima prevenzione collaborativa è dell’ottobre 2023.
Attendendo dati più approfonditi e, soprattutto, dati specifici sull’esito e sull’andamento dei contraddittori instaurati, possiamo rilevare che la diminuzione delle informative interdittive antimafia non è dettata dalla crescita delle misure ex 94 bis CAM che timidamente iniziano a venire utilizzate e comprese. Probabilmente si può ipotizzare che le Prefetture preferiscano agire secondo la vecchia procedura evidentemente ravvisando rischi non sporadici e occasionali di infiltrazione mafiosa nelle aziende italiane.
Il calo delle interdittive antimafia, invece, potrebbe essere sia lo specchio di un abbassamento della presenza mafiosa nelle nostre aziende oppure di una diminuzione dell’intensità, in termini soprattutto di risorse a disposizione, con cui le Prefetture possono agire. E noi propendiamo per la seconda ipotesi.
Veniamo, poi, ad un altro aspetto che altro non è che l’altra faccia della medaglia delle interdittive antimafia, quello delle White list, il cui scopo non dovrebbe meramente essere quello di prendere atto delle risultanze del casellario giudiziale o del certificato dei carichi pendenti, quanto piuttosto quello di selezionare imprese che risultino del tutto esenti da qualunque rischio, anche indiziariamente desunto, di infiltrazioni o condizionamenti da parte della criminalità organizzata.
Analizzando i dati che si rilevano nelle White List che le principali Prefetture italiane compilano e mettono online risulta che siano quasi undici mila le aziende iscritte a Milano, Roma e Napoli. Di queste, circa il 40% è ancora in attesa di ricevere la certificazione, mentre il 25% del totale delle tre liste, circa 2800 aziende, aspettano l’aggiornamento annuale della certificazione. Solo il 35% delle aziende iscritte hanno la certificazione ancora valida e in corso.
Questa, siamo convinti sia una delle emergenze del nostro Paese.
Il Ministro Piantedosi nel corso dell’Intervento al 171° anniversario della fondazione della Polizia di Stato ha dimostrato di esserne consapevole: “Occorrerà potenziare l’azione dei Gruppi interforze che costituiscono il fulcro dell’attività istruttoria per la definizione delle informazioni interdittive antimafia: è necessario che siano composti dai migliori investigatori e analisti, per assicurare un’efficace azione di prevenzione che non si ponga in conflitto con l’esigenza di celerità connessa al raggiungimento degli obiettivi del PNRR”.
Intanto dal 2020, con l'approvazione della legge numero 40, il lavoro si è ulteriormente intensificato. Ristorazione, gestione delle mense e catering, sono state inserite tra i settori a maggior rischio di infiltrazione mafiosa creando all’interno delle White List una sezione apposta, la numero IX. Gli altri settori a rischio risultano essere il trasporto terra, la fornitura di calcestruzzo e di bitume; la guardiania dei cantieri; i servizi cimiteriali; il trattamento e smaltimento dei rifiuti, nonché le attività di risanamento e di bonifica.
Al momento alla categoria della sezione IX, sono iscritte, nelle sole White List di Milano, Roma e Napoli, 329 società. In questo elenco troviamo anche diversi ristoranti che, per i più diversi motivi, hanno richiesto l’iscrizione alle White List.
Nelle White list, infatti, ci si entra se la Prefettura territorialmente competente certifica che la società è libera da ogni tentativo di infiltrazione mafiosa. L'iscrizione è valida per dodici mesi dalla data in cui è disposta, salvi gli esiti delle verifiche periodiche. I tentativi si possono desumere anche dall’analisi dei provvedimenti giudiziari che dispongono una misura cautelare o il rinvio a giudizio, oppure da una condanna anche non definitiva. Dalle proposte di applicazione di una misura di prevenzione, all'omessa denuncia di tentativi di concussione o estorsione, da parte del titolare o dei soci o del direttore tecnico o di altro personale dotato di rappresentanza, laddove chi chiede la tangente o è protagonista del ricatto lo fa con l’aggravante di voler favorire l’associazione mafiosa. Dalle sostituzioni negli organi sociali, con modalità che, per i tempi in cui vengono realizzati, il valore economico delle transazioni, il reddito dei soggetti coinvolti nonché le qualità professionali dei subentranti, denotino l'intento di eludere la normativa sulla documentazione antimafia. Quindi non solo precedenti penali ma qualsiasi informazione utile per verificare l’integrità aziendale.
Crediamo molto nell’attività anche di natura preventiva messa in atto dalle Prefetture ma siamo altrettanto convinti del fatto che, con questa nuova e rinnovata mole di lavoro e di competenze, se si vuole fare veramente un'azione di controllo efficace, sia necessario rafforzare gli organici delle Prefetture dotandole anche di nuove e specifiche professionalità. E se l’ufficio del processo intendeva, pare senza il successo auspicato e sperato, aiutare la magistratura a disincagliare i procedimenti penali e civili, pensiamo che un “ufficio della certificazione antimafia e della prevenzione collaborativa” potrebbe rispondere concretamente ed efficacemente alla necessità di selezionare aziende sane che possano al meglio utilizzare i fondi pubblici, anche europei. Bisogna però che si investa finalmente e seriamente nell’approntare le risorse necessarie per una battaglia che può considerarsi epocale