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26 luglio 2024

Verità su Via Palestro. Milano deve esigerla!

Venerdì 12 luglio 2024. Sono passati quasi 31 anni. E questa è l’ultima notizia in ordine di tempo che restituisce la complessità nel comprendere i veri esecutori, i veri mandanti e il vero movente della strage di via Palestro: "Indagato ex poliziotto per depistaggio Originario della Calabria, era in servizio ad Alcamo negli 80-90 (ANSA) -". 

L'ex sovrintendente di polizia, Antonio Federico, che negli anni '80-'90 era in servizio al commissariato di Alcamo nel Trapanese, è indagato per depistaggio dalla Procura di Caltanissetta. Federico è accusato di non avere chiarito i dettagli in merito alla consegna di una fotografia che probabilmente ritraeva Rosa Belotti, ritenuta la "biondina" della strage di via Palestro avvenuta il 27 luglio 1993 a Milano, trovata dall'ex poliziotto nello stesso anno dell' attentato terroristico compiuto da Cosa nostra, in una villetta di Alcamo, e nascosta in un libro. 

Secondo l'accusa, rappresentata dal pm Pasquale Pacifico, l'ex poliziotto avrebbe dichiarato alla Procura di Firenze, diversamente da quella di Caltanissetta, di conoscere la sua fonte confidenziale tale "Mark" e inoltre avrebbe avuto una antica conoscenza con Rosa Belotti. L'avvocato alcamese Vito Galbo che difende Federico, oggi in pensione, afferma invece che "non ha mai conosciuto la Belotti" e che Federico "consegnò la fotografia al suo dirigente che la tenne per tre anni e poi invece di distruggerla se la prese". 

La notizia mi viene segnalata da Aaron Pettinari di Antimafiaduemila. E riprende una vicenda che ha dell’assurdo. Ma per quella stagione oramai è del tutto normale.

Una donna bella, bionda, magra, probabilmente sotto i trent’anni, parcheggia la Fiat Uno in via Palestro e poi si dilegua su un’altra autovettura con due uomini a bordo. L’identikit è lo stesso fornito da altri testimoni sull’attentato di via Fauro a Roma. A Milano sono in due ad averla vista parcheggiare l’auto verso le 22:30. Di quella bionda però non c’è traccia in nessuna sentenza, e mai è stata identificata. Il suo identikit non rientra tra le piste investigative.

Katia Cucchi, collega del vigile urbano Ferrari, ricorda un ragazzo moro e una ragazza bionda, abbracciati, che non appena vedono gli agenti di Polizia Locale, indicarono loro il punto in cui la Uno stava fumando.

Probabilmente le stesse due persone (“... una donna bionda e un giovane con i capelli scuri”) che due testimoni videro poco prima dell'esplosione uscire da una Fiat, posizionata proprio nello stesso punto in cui si trovò la Uno che fumava. Così dissero i due testimoni che passarono nuovamente, circa mezz’ora dopo, davanti al PAC. Pochi minuti prima dell’esplosione.

Della bionda, come scrisse Cesare Giuzzi sul Corriere, ne parla invece, nel ‘94, il pentito di ‘ndrangheta Pietro Gioffré, ucciso un anno dopo in un agguato. Al Tg2 aveva parlato di una tale «Rosalba» affiliata alle cosche calabresi ed esperta d’esplosivi come la donna di via Palestro. Testimonianza mai utilizzata.

Rosa Belotti, quella della foto, due anni fa comparve su tutti i giornali, nego strenuamente il suo coinvolgimento. Dopo due anni la prima notizia che la riguarda è quella di due settimane fa.

Anche un testimone di via Palestro conferma: la persona nella foto è la stessa che ha parcheggiato la macchina che poi esplose. La Belotti è di Albano Sant'Alessandro in provincia di Bergamo. Suo marito, Rocco Di Lorenzo, 65 anni, oggi è in carcere con una condanna in appello a 11 anni per estorsione ed è considerato dagli investigatori vicino al clan camorristico «La Torre» di Mondragone.

La foto che ritrae la Belotti (lei stessa si è riconosciuta) viene trovata nel 1993, dentro un'enciclopedia in un covo riconducibile a Gladio, nella disponibilità di due carabinieri. Ad Alcamo. In Sicilia. 

La somiglianza della donna ritratta nella foto con quella dell’identikit diffuso dopo la strage viene evidenziata dallo stesso agente di Polizia, Antonio Federico, che l'ha trovata nel covo e che la consegna alla Dia il 5 febbraio del 2008. Quindici anni dopo, scrive Marco Lillo su Il Fatto, a detta di Federico, non era stata ritenuta utile dal punto di vista investigativo, ma lui l’aveva custodita fino ad allora. Ora le nuove verità su quella foto e l’accusa di depistaggio.

Gaspare Spatuzza non parlò mai della presenza di una donna nel luogo dell’attentato.


Gli altri elementi che non sono per nulla chiari di quello che accadde in via Palestro:


  1. La Falange Armata e Cosa Nostra rivendicarono con due comunicati diversi, la strage di Milano e gli attentati alle chiese di san Giovanni al Laterano e San Giorgio al Velabro a Roma. Due rivendicazioni simili. I falangisti scrissero che “ogni pazienza e prudenza non ha più motivo di essere, per cui molta gente inerme e innocente sarà costretta purtroppo a piangere e a morire per colpe non sue”. Le lettere che invece, Gaspare Spatuzza fa spedire ai mafiosi che operano a Roma e a Milano, avvisano che “Tutto quello che è accaduto è soltanto il prologo. Dopo queste ultime bombe informiamo la nazione che le prossime a venire verranno collocate di giorno in luoghi pubblici e saranno alla ricerca di vite umane garantiamo che saranno centinaia”. Impossibile, come sottolinea Giovanni Spinosa, ex Magistrato profondo conoscitore della Falange Armata, che i mafiosi sapessero del Comunicato dei falangisti e viceversa. Le date di invio delle lettere e di arrivo lo provano.
  2. I dubbi che Spatuzza non chiarisce, nascono anche su chi, in via Palestro imbottì di pentrite e T4 la Fiat Uno che esplose a Milano alle 23,14 del 27 luglio 1993 e su chi predispose le micce. Come viene ben descritto nel libro Attacco alla Stato di Ferruccio Pinotti e Roberto Valtolina i periti escludono decisamente l'utilizzo di un radiocomando a distanza: “La fonte più probabile del fumo presente all'interno dell'abitacolo fu l'accensione di tre micce a lenta combustione, che dimostra competenza da parte degli esecutori». Gaspare Spatuzza aveva parlato di una sola miccia che Lo Nigro avrebbe predisposto per poi essere innescata dal mafioso di Brancaccio Vittorio Tutino. Un battesimo del fuoco. Non aveva mai fatto nulla del genere. Bizzaro che Cosa Nostra lo metta proprio alla prova in un contesto così complicato.
  3. “Gli inneschi” sostengono i periti “li avrebbero messi gli attentatori all'ultimo momento. Quest'ultima operazione infatti poteva essere effettuata in pochi minuti solo dopo aver parcheggiato l'autovettura Fiat in via Palestro. A questo punto è stato sufficiente accendere le tre micce e allontanarsi a piedi lungo via Palestro. Con l'ausilio di 10 o 12 metri di miccia il tempo per allontanarsi era abbastanza elevato." Che fine hanno fatto la bionda e il suo accompagnatore?

Infine ricordiamo che nello scoppio restano uccisi:

Alessandro Ferrari, vigile urbano, 29 anni, che suonava l' organo in chiesa, aveva insegnato religione ed era sposato con Giovanna, loro figlio si chiama Matteo. 

Carlo La Catena, 25 anni, vigile del fuoco, era arrivato da Napoli un mese prima e aveva sempre sognato di fare il pompiere. 

Stefano Picerno, 36 anni, che si era sposato con Agnese il 3 luglio ed era appena tornato dal viaggio di nozze; 

Sergio Pasotto, 34 anni, quella sera lavorava anche se era il suo compleanno. 

Driss Moussafir venditore ambulante di 45 anni di nazionalità marocchina. Da alcuni anni era in italia. Quella calda sera di luglio, aveva deciso di coricarsi lì. Su una panchina, nei giardini pubblici, di fronte al Padiglione d'Arte Contemporanea.


Dodici persone rimangono ferite, alcuni di essi subiscono gravi danni permanenti. Un’ulteriore esplosione si verifica alle 4 e 30 del mattino a causa di una sacca di gas che si era formata sotto il Pac. Questa seconda esplosione avrà effetti più dirompenti sulla struttura, la sventra completamente e danneggia una trentina di opere d’arte, alcune andranno completamente distrutte.